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Il cauto pessimismo del card. Joseph Zen a proposito dei dialoghi fra Cina e Vaticano
NEWS 29 Novembre 2016    

Il cauto pessimismo del card. Joseph Zen a proposito dei dialoghi fra Cina e Vaticano

Questo articolo è stato pubblicato sul giornale diocesano di Hong Kong, "Sunday Examiner". Traduzione a cura di AsiaNews.

Il card. Joseph Zen ha espresso un cauto pessimismo sui negoziati in corso fra Vaticano e Pechino. L’occasione è stata un incontro organizzato dalla Commissione di Giustizia e pace nel pomeriggio del 13 novembre presso la cappella di St Vincent a Wong Tai Sin.

Il cardinale ha detto che il Vaticano ha ancora un certo spazio di manovra e alcune certe da giocare [nel rapporto con la Cina] e ha messo in guardia i burocrati del Vaticano dal non lasciarsi imprigionare in ciò che egli ha definito un cattivo accordo, nella loro ansia di voler tranquillizzare la loro controparte a Pechino.

Egli ha detto di avere alcune riserve personali su quanto egli descrive come una debole politica che il Vaticano sta mostrando nei suoi negoziati con Pechino.

Il card. Zen ha detto di essere turbato dalle ottimistiche pubblicazioni dei media che prevedono come imminente un buon accordo fra Pechino e la Santa Sede. Egli pensa che questo è invece un momento critico in cui devono emergere diversi punti di vista, così da mantenere l’equilibrio.

Egli ha anche detto che questo è un tempo che richiede molta preghiera, dato che “è impossibile avere un buon accordo, [e] uno cattivo non dovrebbe essere fatto”.

Come esempio di cattivo accordo, il card. Zen ha citato una cosa che andrebbe evitata ad ogni costo: permettere alla [cosiddetta] conferenza episcopale cinese di nominare i candidati all’episcopato.

Il cardinale ha precisato che mentre il Vaticano può avere il diritto di dire no ad ogni nomina, egli pensa che un simile metodo ridurrebbe la Santa Sede a una posizione passiva, dato che avrebbe il diritto di rifiutare, ma non di scegliere o nominare alcun candidato.

Il vescovo emerito di Hong Kong ha espresso i suoi dubbi sulla possibilità per il Vaticano di rifiutare di continuo i candidati proposti dalla [cosiddetta] conferenza episcopale, o di poter suggerire qualche alternativa: un continuo rigetto o discussione porterebbe a rapporti tesi e dolorosi.

Il porporato ha detto che una delle proposte allo studio è che la votazione per la scelta di un candidato vescovo sia limitata a sacerdoti e suore della diocesi. Ma egli pensa che anche questa proposta sia preoccupante, dato che il governo è un maestro esperto nel manipolare elezioni.

Egli ha detto perfino: “È possibile avere reali elezioni in Cina?”.

In un articolo pubblicato sul Kung Kao Po [giornale diocesano in lingua cinese] lo scorso 13 novembre, il card. Zen ha dichiarato che qualunque proposta di elezione sarebbe mascherata come un compromesso con Pechino, che così avrebbe sempre un’influenza efficace nella scelta di chi può diventare vescovo.

Egli ha aggiunto che se questo avviene, danneggerà l’armonia fra i sacerdoti, perché lascerebbe alcuni scoraggiati o emarginati.

Tale cauto pessimismo non significa che tutto è necessariamente perduto: egli crede che una proposta più accettabile potrebbe cambiare la situazione, lasciando il papa nominare i candidati e dando a Pechino l’opportunità di approvare o rigettare la nomina.

Il card. Zen pensa che questo approccio potrebbe salvare il Vaticano dall’imbarazzo di rifiutare un prete nominato, e darebbe all’intero sistema una maggiore flessibilità, dato che il papa è in una posizione di maggiore ampiezza, nominando un sacerdote da una diocesi come vescovo di un’altra, alleggerendo il peso per aree che hanno poco personale.

In ogni caso, egli crede che la politica vaticana verso la Cina sia debole e sebbene questo non significhi criticare papa Francesco o il suo predecessore papa Benedetto XVI, egli non pensa che i papi siano sempre liberi di esercitare la loro autorità.

Il cardinale ha spiegato che la politica vaticana è più spesso costruita e attuata dai burocrati che possono manipolare e raffinare le cose con il meglio di se stessi.

E ha citato una lettera scritta da Benedetto XVI al governo cinese, in cui si chiedeva più libertà religiosa e in particolare un allentamento delle restrizioni verso le comunità della Chiesa non ufficiale. Ma – egli ha fatto notare – il senso della lettera è stato molto annacquato nel tradurla in cinese perché alcuni precisi rappresentanti vaticani – che egli non ha nominato – avevano adottato una politica di tranquillizzazione e accontentamento (appeasement).

Il card. Zen crede che proprio perché la richiesta del Vaticano era così debole, la situazione delle comunità non ufficiali della Chiesa in Cina è peggiorata.

Egli ha anche detto che alcune risoluzioni volute da un comitato – composto da circa 30 persone con esperienza nella Chiesa cinese e fondato nel 2008 per discutere la situazione in Cina – non sono mai state attuate.

In uno degli incontri annuali, che duravano tre giorni, il comitato aveva approvato una risoluzione secondo cui non bisognava cooperare con Antonio Liu Bainian [attuale presidente onorario dell’Associazione patriottica], il potere dietro il trono nell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi.

Eppure, dice il cardinale, i curiali vaticani sono rimasti in silenzio davanti alle interferenze di Liu nella scelta dei vescovi a cui permettere seminari all’estero.

Dopo che Benedetto XVI si è auto-dimesso, il comitato non è stato mai più radunato.

Il card. Zen ha notato anche che egli ha scritto a papa Francesco per esprimere le sue riserve e preoccupazioni, ma egli dubita che il papa lo ascolti, dato che gli alti curiali del Vaticano attorno a lui, compreso il segretario di Stato, card. Piero Parolin, sembrano sostenere questa politica di “appeasement”.

In ogni modo, il cardinale crede che il Vaticano ha ancora spazio per muoversi, dato il discreto numero di cattolici in Cina. Ma l’ultima cosa che egli vorrebbe vedere è un compromesso. “I compromessi distruggono ogni cosa” ha detto.

Willy Lam Wo-lap, professore aggiunto di storia all’università di Hong Kong, ha detto che egli crede che il cristianesimo sia visto come una grande minaccia da parte del governo cinese, dato che cattolici e protestanti insieme raggiungono almeno i 90 milioni di fedeli.

Egli crede che questa sia la vera ragione per cui è molto improbabile che il governo cinese allenti il cappio attorno al collo della Chiesa (cattolica), come pure attorno alle chiese domestiche non ufficiali e alle altre organizzazioni religiose del Paese.