Nel tempo dell’Arianesimo visse un uomo di Dio che tutti ricordano per il suo gesto: alle porte di Amiens incontrò un povero pieno di freddo e con la spada divise il suo mantello per offrirgliene metà. Tuttavia la vita del Vescovo e monaco Martino di Tours è ben più di questo gesto e, oltre ad essere costellata di scelte evangeliche e di azioni taumaturgiche, venne anche perseguitato dalla Chiesa divenuta perlopiù ariana.
Nacque nel 316 0 317 a Sabaria, nella provincia romana di Pannonia (oggi Ungheria), dove il padre serviva l’Impero, dapprima come soldato, poi come tribuno militare. Trascorse l’infanzia nell’Italia del Nord, a Pavia, nuova guarnigione paterna. Benché i suoi genitori fossero pagani, a dieci anni volle diventare cristiano e a 12 desiderò di vivere nel deserto, imitando gli asceti orientali.
Ma fu costretto ad abbracciare la carriera militare, in virtù della legge che assoggettava allora in via ereditaria i cittadini dell’Impero alla loro condizione di nascita. Tuttavia, pur vivendo in quel contesto, Martino continuò a seguire i precetti evangelici. All’età di 18 anni, quando donò metà del suo mantello al povero di Amiens, la notte seguente, Cristo gli apparve rivestito di quello stesso mantello: fu allora che decise di farsi battezzare. Terminato il periodo obbligatorio di servizio militare, a 25 anni lasciò l’esercito e si recò a Poitiers dal Vescovo Ilario.
Una scelta fatta non a caso: Martino scelse di andare da un Vescovo antiariano, organizzatore straordinario dell’opposizione all’eresia che entrò e rimase nella Chiesa dal IV (iniziò in Egitto) al VII secolo (gli ultimi residui rimasero fra i germani cristiani). Il Vescovo di Poitiers, colpito da una condanna all’esilio per aver osato opporsi alla politica arianista dell’imperatore Costanzo II, dovette stabilirsi in Asia, mentre Martino raggiunse le regioni centrali dell’Illirico per convertire la madre al cristianesimo, ma fu esposto ai duri maltrattamenti che i vescovi della regione, acquistati all’Arianesimo, gli inflissero.
Ritornò in Italia e organizzò un eremo a Milano, dove fu presto allontanato dal Vescovo Aussenzio, anch’egli eretico. Non appena apprese il ritorno di Ilario dall’esilio, nel 360 si diresse nuovamente a Poitiers, dove il Vescovo gli diede l’approvazione per realizzare la sua vocazione e ritirarsi in un eremo a 8 chilometri dalla città, a Ligugé. Alcuni seguaci lo raggiunsero, formando così, sotto la sua direzione, la prima comunità monastica attestata in Francia. Qui trascorse 15 anni, approfondendo la Sacra Scrittura, facendo apostolato nelle campagne e seminando miracoli al suo passare. «Colui che tutti già reputavano santo fu così anche reputato uomo potente e veramente degno degli Apostoli», scrisse Sulpicio Severo (360 ca.- 420 ca.) nella biografia a lui dedicata.
Contro la sua volontà gli elettori riuniti a Tours, clero e fedeli, lo eleggono Vescovo nel 371. Martino assolve le funzioni episcopali con autorità e prestigio, senza però abbandonare le scelte monacali. Va a vivere in un eremo solitario, a tre chilometri dalla città. In questo ritiro, dove è ben presto raggiunto da numerosi seguaci, crea un monastero, Marmoutier, di cui è Abate e in cui impone a se stesso e ai fratelli una regola di povertà, di mortificazione e di preghiera. Qui fiorisce la sua eccezionale vita spirituale, nell’umile capanna in mezzo al bosco, che funge da cella e dove, respingendo le apparizioni diaboliche, conversa familiarmente con i santi e con gli angeli.
Se da un lato rifiuta il lusso e l’apparato di un dignitario della Chiesa, dall’altra Martino non trascura le funzioni episcopali. A Tours, dove si reca per celebrare l’officio divino nella cattedrale, respinge le visite di carattere mondano. Intanto si occupa dei prigionieri, dei condannati a morte; dei malati e dei morti, che guarisce e resuscita. Al suo intervento anche i fenomeni naturali gli obbediscono. Per san Martino, amico stretto dei poveri, la povertà non è un’ideologia, ma una realtà da vivere nel soccorso e nel voto. Marmoutier, al termine del suo episcopato, conta 80 monaci, quasi tutti provenienti dall’aristocrazia senatoria, che si erano piegati all’umiltà e alla mortificazione.
San Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace fra il clero locale. Ai suoi funerali assistettero migliaia di monaci e monache. I nobili san Paolino (355-431) e Sulpicio Severo, suoi discepoli, vendettero i loro beni per i poveri: il primo si ritirò a Nola, dove divenne Vescovo, il secondo si consacrò alla preghiera.
Martino è uno fra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa e divenne il santo francese per eccellenza, modello per i cristiani amanti della perfezione. Il suo culto si estese in tutta Europa e l’11 novembre (sua festa liturgica) ricorda il giorno della sua sepoltura. L’«apostolo delle Gallie», patrono dei sovrani di Francia, fu enormemente venerato dal popolo: in lui si associavano la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria. Quasi 500 paesi (Saint-Martin, Martigny…) e quasi 4000 parrocchie in territorio francese portano il suo nome.
I re merovingi e poi carolingi custodivano nel loro oratorio privato il mantello di san Martino, chiamato cappella. Tale reliquia accompagnava i combattenti in guerra e in tempo di pace, sulla «cappa» di san Martino, si prestavano i giuramenti più solenni. Il termine cappella, usato dapprima per designare l’oratorio reale, sarà poi applicato a tutti gli oratori del mondo.