Quando le distopie diventano realtà bisogna preoccuparsi. La proposta di due ministri olandesi di estendere l’eutanasia a chi ritenga di «aver completato la sua vita», ricorda molto da vicino quanto profetizzato da La morte moderna, il romanzo con cui nel 1978 lo svedese Carl-Henning Wijkmark immaginò un futuro in cui la dolce morte fosse intesa come il rimedio più efficace per sfatare quel «vecchio tabù che si chiama rispetto dell’esistenza umana».
Non ci siamo ancora, ma quasi. Se mettiamo in fila le tappe che hanno contraddistinto in questi anni l’introduzione delle pratiche eutanasiche, vedremo dipanarsi un filo che, partito con la richiesta di intervenire su casi rari e terminali, s’è sfilacciato sempre più verso un’interpretazione fumosa di che cosa significhi “ciclo vitale completo”. E, ovviamente, in questo grande inganno libertario, i primi a farne le spese sono stati i deboli: depressi, vecchi, down, bambini. Ogni volta siamo stati rassicurati che ci sarebbe stato un esperto indipendente, un’équipe di boni viri, una commissione incaricata di vagliare puntigliosamente le richieste di suicidio. Ogni volta, abbiamo visto l’asticella spostarsi più in giù. Wijkmark terminava il suo romanzo immaginando che un giorno la morte sarebbe diventata «produttiva», coi morituri inseriti in un programma di riciclo «per la creazione di medicinali, concimi e mangimi».
Recentemente alcuni studiosi olandesi hanno proposto di legalizzare la donazione di organi per chi sceglie l’eutanasia. Attualmente al vaglio del Parlamento c’è una legge che, ribaltando la prassi vigente, prevede che, a meno di esplicito diniego, tutti gli olandesi siano considerati donatori. Altri piccoli passi verso la realizzazione della distopia.