di Bernardo Cervellera, P.I.M.E.
Una nuova bozza di regolamenti sulle attività religiose è stata diffusa in Cina. Essa dovrebbe sostituire i regolamenti del 2004. Rispetto a questi, la bozza è più lunga: distribuiti in 9 capitoli, vi sono 74 articoli (nel 2004 erano 48). Fra le apparenti novità si elencano regole per la costruzione di edifici religiosi e statue (dopo la campagna di distruzione di croci e chiese; diversi obblighi sull’uso di internet; precisazioni sul personale religioso buddista (tibetano) e cattolico. Colpisce anche l’entità delle multe che vengono comminate a chi trasgredisce le regole. Vi sono penalità che arrivano fino a 200mila yuan (oltre 27mila euro: il salario minimo a Shanghai è un po’ meno di 300 euro) per “attività religiose fuorilegge” o viaggi all’estero e pellegrinaggi senza il consenso del governo.
Una contraddizione nel Partito
Di per sé, la bozza, pubblicata l’8 settembre scorso sul sito dell’Ufficio del Consiglio di Stato per gli affari legislativi, sarebbe stata resa pubblica per eventuali correzioni, consigli ed emendamenti fino al 7 di ottobre. Ma un membro del Partito ha confessato laconico ad AsiaNews: “Si dice che è una bozza, ma in realtà è il testo definitivo”.
La struttura ideologica del nuovo testo rimane quella comunista di sempre: le attività religiose, per essere espresse, devono essere vidimate e controllate dallo Stato a tutti i livelli; di villaggio, contea, provincia, nazione.
Senza definire cos’è una religione e cosa è l’esperienza religiosa, i regolamenti (art. 2) cominciano con il decantare il fatto che in Cina “i cittadini godono di libertà religiosa”, che nessuno “può obbligare a credere o a non credere” e che “nessuna organizzazione … può discriminare contro i cittadini che credono in una religione”.
Tale affermazione è in contraddizione con quanto avviene proprio nel Partito comunista cinese, dove ormai da anni si predica che i membri non possono aderire a nessuna religione nemmeno in privato e addirittura nemmeno dopo che vanno in pensione.
Pur senza definizione di religione, la prima parte della bozza elenca una lunga serie di cose che le religioni “non debbono fare”: non creare conflitti con altre religioni o con chi non crede; non provocare divisioni etniche; non favorire l’estremismo religioso; non dividere la nazione; non praticare azioni terroristiche (art. 4).
Religioni “sinicizzate” e senza stranieri
Per essere “secondo la legge”, le religioni devono essere “guidate” dal governo del popolo, dai dipartimenti per gli affari religiosi, dalle autorità di contea e di villaggio i quali hanno diritto di intervento sulle attività religiose (art. 6).
In più, ogni gruppo religioso “deve aderire al principio di indipendenza e di autogoverno” e “non essere controllato da forze straniere” (art. 5). Questi principi sono tradizionali dai tempi di Mao Zedong, che voleva prima distruggere le religioni e poi – vista l’impossibilità – almeno controllarle con pugno di ferro con le associazioni patriottiche, facendo sorgere chiese e comunità “indipendenti”. Ma tali principi hanno preso una nuova enfasi dopo il discorso del presidente Xi Jinping al Fronte unito lo scorso anno, in cui egli ha messo in guardia contro le “influenze straniere” e ha decretato che se le religioni vogliono vivere in Cina si devono “sinicizzare”. La psicosi negativa sulle religioni manovrate dall’esterno si riferisce a musulmani dello Xinjiang e a buddisti tibetani, ma anche il papa e il Vaticano, con le nomine dei vescovi, sono sospettati di complotti e di “ingerenza negli affari interni della Cina”.
La “sinicizzazione” dà un colpo anche al personale estero che si può invitare nelle “scuole religiose” (seminari, monasteri, ecc.). L’art. 17 stabilisce che gli istituti devono chiedere di poter avere personale dall’estero, ma il permesso viene dato solo dal “dipartimento per gli affari religiosi del Consiglio di Stato”. Già ora se ne vedono i frutti: seminari teologici come quello di Pechino, che una volta ospitava decine di insegnanti stranieri, ora riescono a malapena ad avere il permesso per due o tre.
I luoghi di culto e le croci
Per i luoghi di culto vi è un complicato processo da seguire per approvarne anzitutto la costruzione, passando di mese in mese la richiesta a tutti i livelli del governo; solo in seguito si potrà costruire tale luogo di culto che però deve richiedere la registrazione per l’uso, con altri mesi di attesa (artt 19-27). Speciali permessi sono richiesti per istallare statue religiose all’esterno degli edifici di culto (artt. 29-30). Oltre ai permessi, la comunità religiosa deve accettare la verifica del ministero degli affari religiosi. In ogni caso “è proibita la costruzione di grandi statue religiose al di fuori di templi e chiese”.
Il divieto risente dell’esperienza della campagna contro le croci e le chiese lanciata nel Zhejiang due anni fa, per diminuire la visibilità degli edifici cristiani, che issavano grandi croci al vertice degli edifici o dei campanili. Oltre a distruggere edifici che avevano già ricevuto i permessi di edificazione, il governo provinciale ha diramato delle regole in cui si stabilisce l’altezza, la posizione, le dimensioni e perfino il colore delle croci.
Il controllo di budda e di vescovi
Il cap. V (artt. 36-39) tratta del “personale religioso”, che per esercitare il ministero deve essere registrato presso il ministero degli affari religiosi. Vi sono due punti specifici. Il primo è riferito ai “budda viventi” del buddismo tibetano, la cui reincarnazione “deve essere presentata per l’approvazione al dipartimento per gli affari religiosi del governo del popolo”. Già da anni il Partito-governo ha stabilito questa regola, che cerca di prevenire la possibilità di una reincarnazione “non controllata” o “non approvata” del Dalai Lama.
Un altro punto specifico è per i vescovi cattolici, i quali devono essere registrati presso i dipartimenti degli affari religiosi della nazione. Viene anche specificato che “coloro che non hanno ottenuto o perduto le credenziali professionali [la registrazione- ndr] non possono impegnarsi in attività come personale religioso” (n. 36). Da diversi cattolici si esprime il timore che questo comma possa indurire la posizione del governo verso i vescovi non ufficiali, che non sono registrati presso il ministero degli affari religiosi e che perciò compiono “azioni illegali o fuorilegge” se osano celebrare una messa o distribuire i sacramenti.
Fine delle comunità sotterranee?
Lo stesso si deduce dal cap. VII sulle “responsabilità legali”, dove per attività religiose “illegali” si viene puniti “secondo la legge” e si revoca “il certificato di registrazione”.
Da molte diocesi cinesi ci giungono segnalazioni che con mezzi leciti e meno leciti il governo sta spingendo i sacerdoti non ufficiali a registrarsi presso il ministero. Purtroppo – sebbene nei Regolamenti non ci sia scritto – tale registrazione avviene attraverso l’Associazione patriottica (Ap), che è l’organismo di controllo, i cui statuti (per edificare una Chiesa “indipendente”) sono “inconciliabili con la dottrina cattolica”, come afferma la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi. La maggior parte dei sacerdoti sotterranei sarebbe disposta a farsi registrare se non ci fosse la forca caudina dell’Ap. Resta il fatto che questi nuovi regolamenti sembrano dare un colpo letale alle comunità sotterranee: sarà ormai quasi impossibile poter esercitare la propria libertà religiosa senza registrazione dei luoghi di culto e del personale. In più proprio a queste “attività illegali” possono essere comminate multe salatissime fino a 200mila yuan (artt. 67-68).
Fra le azioni “criminali” che meritano pesanti punizioni vi è “l’accettare il dominio di forze straniere, accettare senza autorizzazione clero da gruppi religiosi stranieri o organizzazioni, come pure altri atti contrari al principio dell’indipendenza religiosa e dell’autogoverno” (art. 70, 2). In pratica, se un sacerdote italiano celebra per amicizia con una comunità o con un prete cinese (“senza autorizzazione”!) compie uno dei delitti più gravi: la comunione ecclesiale non conta; conta l’approvazione del governo.
La criminalizzazione contro tutto ciò che lede “all’indipendenza e all’autogoverno” è diffusa anche per internet: l’informazione religiosa via internet deve avere il permesso delle autorità governative e “non deve contenere contenuti proibiti” (artt. 47-48).
In conclusione, leggendo tutti i regolamenti, le religioni appaiono come un elemento sospetto e pericoloso, che solo il controllo del “governo del popolo” rende accettabile. Eppure fin dall’inizio i Regolamenti proclamano la “libertà religiosa” goduta da tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione.
Fra i divieti discriminanti vi è invece – oltre quanto detto sopra sulla proibizione ai membri del Partito di essere religiosi – il fatto che è proibito “il proselitismo, tenere attività religiose, fondare organizzazioni religiose o stabilire luoghi e attività religiose nelle scuole dello Stato” (art. 44). In compenso, lo Stato ha diritto a costringere e far seguire lezioni di ateismo e di marxismo nelle scuole religiose.