di Adelio Dell'Oro, vescovo di Karaganda
Karaganda (AsiaNews) – Il Servo di Dio padre Władysław Bukowiński – all’intercessione del quale papa Francesco ha attribuito un miracolo – è stato un esemplare testimone di Dio nella nostra terra. È stato un sacerdote di Dio, che non solo senza riserve ha creduto nella divina Provvidenza e ha sperato nel Signore, ma si è preso cura degli uomini, andando loro incontro, pregando per loro, istruendoli e servendoli, donando loro Dio fino alla fine della propria vita terrena.
Il Servo di Dio padre Władysław Bukowiński nasce il 22 dicembre 1904 a Berdyczów, in quel tempo territorio polacco e oggi ucraino, ed è battezzato, pochi giorni dopo, il 26 dicembre. Due anni dopo la morte della madre, per sfuggire all’invasione bolscevica, la sua famiglia si trasferisce in Polonia e si stabilsce nel piccolo villaggio di Święcica, situata tra Lublino e Cracovia.
Nel 1921, Władysław ottiene il diploma di maturità a Cracovia e inizia gli studi universitari alla facoltà di legge dell’Università Jagellonica, che conclude con la laurea in giurisprudenza. Durante questi anni di studio partecipa attivamente al Circolo Accademico dei Confinanti, fondato per aiutare i giovani indigenti, provenienti dai territori orientali della Polonia.
Proprio in questo tempo, il giovane Władysław percepisce la vocazione al sacerdozio e nel 1926 entra nel Seminario maggiore di Cracovia, studiando teologia all’Università Jagellonica e perseguendo contemporaneamente una solida formazione spirituale. Viene ordinato sacerdote nella cattedrale di Cracovia nel 1931 dal futuro cardinale Adam Stefan Sapieha, che più tardi, nel 1946, ordinerà sacerdote anche Karol Wojtyła.
Per cinque anni lavora come vicario prima a Rabka, poi a Sucha Beskidzka, dedicandosi anche a un’intensa opera caritativa e alla catechesi nelle scuole. Scrive san Giovanni Paolo II al card. Makharskij nel 2004: “Ammiro la sua abnegazione ed entusiasmo pastorale”.
Nel 1936, chiede di andare nei territori orientali della Polonia, da cui proveniva la sua famiglia. Insegna catechismo in varie scuole ginnasiali, si dedica all’educazione cristiana dei giovani e insegna sociologia nel seminario di Łuck. Si impegna nell’Azione Cattolica diocesana e viene nominato direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose, lavorando nella redazione della rivista “Vita cattolica”. Nel 1939, dopo l’incardinazione nella diocesi di Łuck, allo scoppio della seconda guerra mondiale e dopo l’occupazione sovietica della Polonia, il vescovo lo nomina parroco della cattedrale della stessa città.
Grazie alla sua profonda spiritualità, all’intelligenza, alle doti di prudenza ed equilibrio e a una buona conoscenza della lingua russa, il Servo di Dio si impegna molto per difendere la libertà religiosa e la possibilità per la Chiesa di continuare la sua opera pastorale e assistenziale.
Padre Bukowiński, in quel terribile frangente, si spende tantissimo per visitare e portare aiuto materiale agli ammalati e agli anziani, portando loro i sacramenti. Incontra di nascosto e conforta i polacchi condannati dai sovietici alla deportazione in Siberia o in Kazakhstan.
Nel 1940 il Servo di Dio viene arrestato dai bolscevichi e condannato a 8 anni nei campi di lavoro. Ma, con la rapida avanzata dell’esercito nazista, i sovietici in fuga iniziano a liquidare i prigionieri. Il 23 giugno 1941, padre Władysław è certo che si sia trattato di un miracolo, scampa a una fucilazione di massa per mano dei sovietici: il proiettile non lo colpisce; anzi, sdraiato nel cortile della prigione, confessa e assolve i suoi compagni di sventura sotto il tiro dei fucili.
Nel 1941, in seguito all’occupazione nazista, esce di prigione e continua il suo servizio come parroco nella cattedrale di Łuck. In questo periodo tragico, caratterizzato dall’annientamento in massa degli ebrei, salva molti bambini ebrei, aiuta i fuggitivi e i prigionieri di guerra, distribuendo loro il cibo e preparandoli ai sacramenti.
Dopo il ritorno dell’armata rossa, all’inizio del 1945, viene arrestato una seconda volta e messo in prigione a Kiev, insieme con il vescovo di Luck e alcuni sacerdoti. Accusato di essere una spia del Vaticano e di svolgere attività religiose illegali, è condannato senza giudizio a 10 anni di lavori forzati. Nel 1950 viene mandato nelle miniere di rame nel lager di Žezkazgan (in Kazakhstan).
Anche in queste circostanze estremamente difficili, Bukowiński vive in modo speciale la sua Eucaristia quotidiana, celebrandola prima dell’alba, quando ancora tutti dormono, inginocchiato davanti all’altare-panca che gli serve da branda. Usa ogni occasione per fare apostolato: visita gli ammalati nell’infermeria del lager, imparte i sacramenti, predica in varie lingue. Nei sui “Ricordi” scrive: “La Provvidenza divina agisce talvolta anche attraverso gli atei, che mi hanno mandato là, dove serve un prete”.
Questo Servo di Dio ci testimonia così che è possibile diventare santi, cioè realizzare in pienezza la propria umanità, in qualsiasi condizione, anche estremamente difficile e dolorosa. Non si lamenta mai né di chi lo aveva condannato né di chi lo tratta male. Solo una volta, nei suoi “Ricordi” menziona un brutale ceffone sul volto, con cui era stato punito per essere andato di notte in in’altra baracca a confessare un giovane prigioniero, ma in seguito riterrà questo schiaffo un gesto misericordioso da parte delle guardie, che avrebbero potuto punirlo più duramente, con la cella d’isolamento.
In totale, padre Bukowiński ha trascorso nei lager 13 anni, 5 mesi e 10 giorni.
Nell’agosto del 1954 viene liberato dal lager e deportato a Karaganda, dove lavora come custode presso un cantiere edile, dedicandosi segretamente all’apostolato. È il primo sacerdote cattolico ad esservi giunto dopo la II guerra mondiale. Si mette al servizio dei cattolici di nazionalità polacca e tedesca, ma anche dei greco-cattolici. Nelle case di chi lo invita celebra i battesimi, prepara alla confessione e alla prima comunione, anche al matrimonio.
Alcune persone percorrono anche 300 chilometri per confessarsi da lui e per partecipare alla santa Messa, che celebra segretamente in appartamenti privati, con le finestre oscurate. Come deportato ha l’obbligo di presentarsi ogni mese al Commissariato per fornire precise relazioni circa i luoghi in cui è stato e ciò che ha fatto. Afferma sempre di essere un prete, il cui dovere è il servizio sacerdotale.
Un momento decisivo della sua vocazione è nel giugno del 1955, quando rifiuta la possibilità, che gli è offerta, di ritornare in Polonia, nella sua patria, e decide di prendere la cittadinanza sovietica, per rimanere vicino ai fedeli fino alla morte. Prende questa decisione in modo pienamente consapevole delle gravi conseguenze che questa sua scelta avrebbe potuto avere.
“Nel giugno del 1955 è arrivata la notizia desiderata: oggi fanno la registrazione per il rimpatrio. Il capitano: 'Cittadino Bukowiński; le offriamo il rimpatrio nella Repubblica popolare di Polonia'. 'Con gioia accolgo la decisione… ma personalmente voglio rimanere nell’URSS. Così sono diventato definitivamente cittadino dell’Unione Sovietica'”.
Scriveva san Giovanni Paolo II al card. Makharskij nel 2004: “Mi rallegro del fatto che l’immagine di questo eroico sacerdote non sia stata dimenticata. Al contrario, continua a rimanere nel ricordo di molti come un eroico testimone di Cristo e come pastore di coloro, che hanno sofferto persecuzioni per la propria fede e origine”.
Come cittadino sovietico, nel 1956 padre Bukowiński riceve il permesso di muoversi in tutta l’URSS. Rinuncia al lavoro di guardiano notturno e da allora si occupa esclusivamente dell’apostolato, senza il permesso delle autorità. Alla periferia di Karaganda, acquista una casupola e la trasforma in una cappella per i polacchi. Purtroppo, dopo un anno, le autorità la chiudono.
Ma, poco più di 3 anni dopo, viene arrestato per la terza volta, a causa della sua attività religiosa a Karaganda. Accusato di aver costituito illegalmente una chiesa, di aver fatto propaganda tra i bambini ed i giovani, rinuncia ad avere un legale e si difende da sè, pronunciando un discorso, che colpisce molto i giudici. Per questo gli viene comminata una pena di soli tre anni ai lavori forzati, invece dei 10 previsti. Scontata la pena, riprende il lavoro pastorale. La fede salda e la fiducia indefettibile nella Provvidenza gli danno forza per non cedere alla persecuzione. È sostenuto dalla certezza che Dio lo ha inviato nel luogo, dove la sua presenza è necessaria.
Padre Ladislao compie anche otto viaggi missionari, in luoghi lontani del Kazakhstan e si reca più di una volta anche in Tagikistan.
Torna tre volte la Polonia, soprattutto per curare la salute indebolita dagli anni di detenzione e dal faticoso lavoro pastorale, incontrando anche il cardinal Karol Wojtyla, che si interessa molto al suo apostolato in Kazakhstan.
A Karaganda, continua a compiere la sua missione sacerdotale fino all’esaurimento totale delle sue forze. Il 25 novembre celebra la sua ultima santa Messa, riceve l’estrema unzione e viene subito trasportato all’ospedale. Muore a Karaganda il 3 dicembre 1974.
La notizia della morte di padre Bukowiński si diffonde rapidamente e provoca un lutto generale. Il funerale è celebrato da padre Józef Kuczyński e padre Michele Köhler nel nuovo cimitero alla periferia di Karaganda, con la partecipazione di una folla enorme di persone.
Da quel momento, i cattolici vi si recano spesso per pregare, realizzando così quanto padre Władysław aveva predetto, che anche la sua tomba sarebbe diventata uno strumento di apostolato. Nel 1991, dopo un’inondazione del cimitero il corpo viene trasferito alla chiesa di San Giuseppe e deposto presso le sue pareti esterne. Nel 2008 le sue spoglie vengono sistemate in un altare della stessa chiesa, che allora era la cattedrale di Karaganda.
Nella sua visita in Kazakhstan, nel 2001, san Giovanni Paolo II, per far sentire la sua vicinanza alle tante persone che in questa terra hanno sofferto a causa delle persecuzioni religiose, tre volte ha citato padre Bukowiński: nella visita al palazzo presidenziale “La prima fonte di informazioni sul Kazakhstan è stata per me padre Bukowiński, ben noto qui… Peccato che io non possa visitare Karaganda e la tomba di padre Bukowiński; ”; all’Angelus “Ho nutrito sempre un vivo interesse per la vostra sorte. Mi parlava molto di voi l’indimenticabile padre Władysław Bukowiński, che incontrai molte volte e che ho sempre ammirato per la fedeltà sacerdotale e il suo slancio. Fu particolarmente legato con Karaganda, ma mi raccontava della vita di voi tutti”; durante la Messa con il clero e i religiosi, parlando del Seminario di Karaganda “l’avete voluto dedicare ad uno zelante sacerdote, padre Władysław Bukowiński, che durante i duri anni del comunismo ha continuato ad esercitare in quella città il suo ministero. Scriveva nelle “Memorie”: “Siamo stati ordinati non per risparmiarci ma, se è necessario, per dare la nostra vita per le pecorelle di Cristo”. Io stesso ho avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzarne la fede profonda, la sapiente parola, l’incrollabile fiducia nella potenza di Dio. A lui e a tutti coloro che hanno consumato la vita fra stenti e persecuzioni intendo oggi rendere omaggio a nome di tutta la Chiesa”.
La sua vita interiore si alimentava quotidianamente dell’eucaristia e della devozione alla Vergine Maria e gli permetteva di percepire con chiarezza e serenità il senso degli eventi personali, sociali ed ecclesiali. Nelle circostanze più difficili, incrollabili erano in lui il fiducioso abbandono alla volontà di Dio e la fedeltà incondizionata al Vangelo.
Dal 2006 al 2008 a Cracovia viene svolta l’Inchiesta diocesana, la cui validità giuridica è stata riconosciuta dalla Congregazione per le Cause dei Santi nel 2009. Nel 2015, la Consulta dei cardinali e dei vescovi, presieduta dal card. Angelo Amato, ha riconosciuto le virtù teologali e cardinali, esercitate in grado eroico dal Servo di Dio.
La vita di Władysław Bukowiński è stata totalmente imbevuta dalla fede nella Provvidenza divina, era consapevole di essere chiamato a servire le persone là, dove Dio lo aveva collocato, anche se questo luogo era la prigione o il lager.
Che cosa ci può insegnare oggi questo sacerdote, pienamente abbandonato alla volontà di Dio? Padre Ladislao ha creduto nel Signore Gesù e lo ha amato con tutto il cuore, ha sperato nella Provvidenza di Dio e nessuna persecuzione, nessuna ingiusta accusa e nessuna condanna al lager hanno potuto spegnere in lui queste virtù cristiane, ma anzi ha usato di tutte le occasioni per rendere testimonianza a Gesù. Ancora oggi incontriamo coloro, che padre Bukowiński ha battezzato, ha confessato, hanno ricevuto da lui l’Eucarestia o lo hanno ospitato a casa propria. Tutto ciò è frutto del sacrificio del suo servizio a Dio nella nostra terra.
Da oggi le spoglie mortali di questo “Apostolo del Kazakhstan” riposeranno qui a Karaganda nella cripta di questa Cattedrale, dedicata alla Madonna di Fatima, Madre di tutti i popoli e voluta come voto di riconoscenza dei cattolici al Signore, che si è preso cura di chi è stato vittima delle repressioni politiche.
Papa Francesco ha riconosciuto il miracolo, ottenuto per intercessione del Servo di Dio padre Władysław Bukowiński, che ora continua a intercedere presso Dio per noi, che viviamo in questa terra. Che sia per noi esempio di una testimonianza fedele in mezzo alla gente con cui viviamo, di una fiducia nella divina Provvidenza e di una fede che non si lascia vincere da nessuna difficoltà.