di Francesco Agnoli
In un suo celebre discorso, uno dei più grandi scienziati dell'Ottocento, Louis Pasteur, spiega che l'uomo che indaga autonomamente la natura ha bisogno però della Rivelazione per comprendere le uniche verità fondamentali che ricerca, cioè il perché ultimo suo e dell'universo.
Pasteur è lo scienziato che, dopo Francesco Redi e don Lazzaro Spallanzani, ha definitivamente dimostrato l'impossibilità della generazione spontanea, così cara alle dottrine panteiste pre-cristiane e, ad esempio, ad Aristotele. Per il filosofo greco, infatti, la vita si genera dalla non vita, le larve delle mosche dalla carne in putrefazione, i pesci dal fango, ecc., tramite una influenza astrale esterna. Questo perché Aristotele, come tutti gli antichi, non concepisce l'idea di creazione e considera il mondo eterno e divino.
Conseguenza di ciò è l'«assenza di un confine preciso tra materia organica e inorganica» (A. Cutler), che porta ad esempio a credere alle lapides sui generis, cioè pietre autogenerate, dotate di possibilità di riprodursi e di organi digestivi.
Ebbene, se leggiamo Francesco Redi, vediamo che inizia la sua trattazione contro la generazione spontanea affermando «che dopo la prima settimana Dio aveva smesso di creare, per cui ogni organismo vivente doveva discendere direttamente dalla prima Creazione». Vuole cioè dire che nessuna vita si crea dalla non vita, ma omne vivum ex vivo, cioè «tutto ciò che è vivo deriva da qualcosa di vivo». Sulla scia di Redi, all'origine della scienza moderna v'è il pensiero che vi sia una netta distinzione tra materia inerte, inorganica e materia organica, vivente. «Secondo la filosofia meccanicistica la materia era inerte e morta. Da sola non poteva fare nulla; richiedeva l'intervento di una forza esterna, e tale forza era Dio».
Così «la filosofia meccanicista rendeva assoluta la distinzione tra mondo materiale e mondo spirituale. In quello spirituale esistevano Dio, gli angeli e l'anima; tutto il resto era materia inerte». Questo meccanicismo "buono" era sostenuto dai grandi, Redi, Stenone, Newton e Boyle, che combattevano sia l'animismo panteista, sia il meccanicismo materialista, che invece riduceva tutto, proprio tutto, a materia (rendendo così il sasso e l'uomo equivalenti).
Se dunque i padri della scienza confutano l'idea panteista per cui la natura crea se stessa, successivamente si cercherà di invertire il ragionamento: è la materia inorganica che da sola, meccanicamente e casualmente, dà vita alla vita, senza bisogno di Dio. A riproporre in età contemporanea la vecchia teoria della generazione spontanea, già confutata sperimentalmente, è il russo Oparin, nel 1922, nel suo L'origine della vita. Siamo nella Russia comunista, dove gli scienziati sono chiamati a sostenere la «scientificità» dell'ateismo materialista marxista. Il libro di Oparin inizia non a caso con un capitolo dedicato a «La lotta del materialismo contro l'idealismo e la religione riguardo l'origine della vita», e l'argomentare fa leva, più che sulla scienza, sul pensiero di Engels, Lenin e Stai in e su una critica alla Chiesa.
L'idea di Oparin verrà poi sostenuta da J.B.S. Haldane, esponente di rilievo, guarda caso, del partito comunista inglese, e nel 1953 da Stanley L. Miller, che «riuscì ad ottenere chimicamente 4 dei venti aminoacidi che compongono le proteine a partire da una miscela gassosa che avrebbe dovuto riprodurre l'atmosfera terrestre originaria» (M. Artigas) Proprio questo esperimento di Miller viene talora spacciato come dimostrazione provata dell'origine della vita dalla non vita, come una certezza a cui viene dato un nuovo nome, abiogenesi, che in realtà nasconde la vecchia idea screditata della generazione spontanea.
In verità, tale ipotesi fu subito combattuta da vari scienziati, anche atei, come Fred Hoyle, insieme al matematico Chandra Wickramasinghe, per i quali «sulla base del calcolo delle probabilità, perché le unità mo/ecolari che sono alla base della vita si combinino tra loro per formare il più semplice sistema vivente occorrerebbero tempi di una lunghezza incredibile: l'età comunemente attribuita all'Universo… è ridicolmente insufficiente. Non sarebbe sufficiente neppure a far formare attraverso processi casuali gli enzimi indispensabili per dare inizio ai primi processi vitali».
Analogamente uno storico della scienza come Franco Prattico ci dice oggi che «chi si aspettava che dalla storta [dall'alambicco] di Miller uscisse l'homunculus [l'uomo che nasce in laboratorio] di Faust è rimasto deluso. Dal mattone (gli aminoacidi) ancora non si è passati al palazzo (la proteina) e i risultati di Miller sono stati rimessi in discussione da più parti…», eccetto che da coloro che necessitano di questa idea per fondare il loro ateismo. Proprio ragionando sull'improbabilità del formarsi della vita dalla non vita, alcuni, sempre per non dover ammettere una forza creatrice soprannaturale, hanno ipotizzato una origine extraterrestre della vita, la cosiddetta panspermia. Tra questi il fisico Hermann von Helmholtz, il premio Nobel Svante Arrehenius e soprattutto Francis Crick, ateo convinto, premio Nobel per la scoperta della struttura del Dna. Per costui «la vita è un evento infinitamente raro, tuttavia la vediamo brulicare intorno a noi: come è possibile che una cosa così rara sia così comune?». «Un uomo onesto – afferma Crick – munito di tutte le conoscenze attuali può solo affermare che per ora, in un certo senso, l'origine della vita appare quasi un miracolo tante sono /e condizioni che debbono essere soddisfatte perché il meccanismo si metta in moto». Un miracolo al punto che sarebbe necessario ipotizzare creature intelligenti, gli extraterrestri, che avrebbero portato la vita sulla terra tramite una astronave lanciata da una straordinaria civiltà scomparsa! Se per Crick la vita è un «miracolo», per molti altri celebri scienziati, come Erwin Chargaff e Paul Davies, è un «mistero», mentre per il grande genetista Francis Collins «nessuno scienziato serio oserebbe (oggi) affermare di avere a portata di mano una spiegazione naturalistica dell'origine della vita».
La verità è dunque che ancor oggi non sappiamo nulla, se non che, razionalmente, è impossibile che dal "meno", la materia inorganica, derivi il "più", la vita, senza un intervento esterno (Dio), per via del principio di causalità, per il quale appunto una causa non può essere da meno del suo effetto. L'unica altra possibilità è che la vita sia già presente fin dall'inizio, seppur nascosta nella materia, ma sempre posta da Dio.
Ma quand'anche un giorno si dimostrasse l'origine della materia vivente da quella non vivente, all'ateismo scientista rimarrebbe da dimostrare che ciò è dovuto al caso, e inoltre si dovrebbe giustificare l'esistenza della materia inorganica, perché al «Signor Caso» si possono chiedere i «miracoli», partendo da qualche elemento chimico, ma partendo dal nulla è più «difficile». E ancora si dovrebbe spiegare come la materia inerte, acquisita la vita, avrebbe assunto anche una autocoscienza, dando vita all'uomo. Chiamare in causa il caso per alcuni aminoacidi è un conto: per giustificare l'esistenza della materia, dell'universo, di una singola proteina, della vita, e della vita cosciente, un altro…
TIMONE – Luglio/Agosto 2008 (pag. 50-51)