La Chiesa si ostina a proporla. Molti giovani non la capiscono. È ancora possibile spiegare le ragioni ed i vantaggi della castità prematrimoniale? Ecco che cosa dire. Anche a chi non crede.
Un giovane e una giovane si conosco¬no, si frequentano,-si vogliono bene. Scoprono di desiderare una vita insieme e, magari, stabiliscono che un giorno diventeranno solennemente e pubblicamente marito e moglie.
Un periodo di tempo – più o meno lungo – li separa dal momento in cui, salvo ripensamenti, si uniranno in matrimonio. Come vivere questa particolarissima stagione della vita che è il fidanzamento? Secondo la mentalità corrente, nulla di più normale che quei giovani si comportino come se fossero già sposati.
Nell'insegnamento della Chiesa, in¬vece, soltanto il matrimonio rende le¬cito il rapporto sessuale tra l'uomo e la donna. Si tratta di un conflitto acutissimo tra il senso comune dei con¬temporanei e il Magistero petrino; il divieto dei cosiddetti “rapporti prematrimoniali” rischia di risuonare sempre meno ascoltato e compreso, al punto da suscitare perfino nei pastori la tentazione allo scoraggiamento. Non è raro ascoltare il “lamento” di qualche parroco: “Dissuadere i fidanzati dai rapporti prematrimoniali? Figuriamoci, inutile perfino parlar¬ne, non ci capiscono”.
Che fare, dunque?
C'è un significato profondamente umano di questo insegnamento che, ininterrottamente e ostinatamente, la Chiesa affida agli uomini di ogni tempo. Bisogna aiutare le persone a riscoprire che non si tratta di un'impuntatura moralistica – “devi fare così perché devi, perché te lo dico io” – né di un sacrificio imposto ai fidanzati per il gusto di mortificarli, né di una prescrizione formalistica priva di qualsiasi giustificazione razionale.
Come sempre quando la Chiesa in¬segna una verità morale, la castità al di fuori del matrimonio ha un pro¬fondo significato antropologico: è pro¬posta perché “fa bene” all'uomo, rispetta e promuove la sua più intima natura, lo aiuta a comprendere in profondità l'essenza del matrimonio.
Proveremo dunque a offrire alcuni argomenti “umani” che possano aiuta¬re a riaprire gli occhi sulla bellezza di questa “fatica” richiesta ai fidanzati e a chiunque viva al di fuori del matrimonio. Un piccolo prontuario per ragionare sul fatto che il “be¬ne” insegnato dal “Papa e dai preti”, alla fine, conviene. E che il sesso prematrimoniale è, in verità, “anti-matrimoniale”.
1. Una prima constatazione di buon senso: il sesso unisce. Crea cioè subito tra gli amanti un'unione affettiva, psichica, emotiva, intima e speciale che nessun'altra relazione è in grado di eguagliare. Il sesso produce un legame, poiché il corpo parla un linguaggio che va anche al di là delle intenzioni coscienti del partner. Ora, poiché questo legame nasce più o meno consapevolmente ogni volta, più partner sessuali si hanno più il legame con ognuno si fa più debole. Il sesso prematrimoniale aumenta drammaticamente le chance di divorzio.
2. Saper aspettare irrobustisce il le¬game coniugale, perché il rapporto sessuale diviene qualcosa che i coniugi hanno condiviso solo l'uno con l'altro, dopo averlo desiderato senza soddisfarlo per un certo periodo. Un tempo che li ha visti cimentarsi (e cementarsi) in un impe¬gno che implica aiuto reciproco, buona volontà “incrociata”, crescita nella stima l'un per l'altro.
3. Il rapporto sessuale prematrimoniale determina un accecante “effetto valanga”, poiché è così affettivamente forte da annebbiare la scelta della persona. Il fidanzamento è tempo di verifica della scelta, tant'è vero che si può ancora ripensarci. Ebbene, se il rapporto lascia insoddisfatti, porta a concludere che i due sono “incompatibili”, men¬tre magari il matrimonio potrebbe dimostrare il contrario; se, viceversa, risulta soddisfacente, maschera effettive incompatibilità pronte ad esplodere dopo il matrimonio.
4. Esiste un nesso intrinseco fra il sesso e il rapporto stabile tra uomo e donna. Dunque è innaturale crea¬re, attraverso il rapporto sessuale, un'intimità così forte per poi rom¬perla. Ciò avverrà a prescindere dal¬le intenzioni delle persone: il significato oggettivo del sesso è infatti più importante – prevale – sul significato soggettivo. Il don Giovanni impenitente può credere soggettiva¬mente che nessun rapporto è per lui realmente importante, ma non può evitare che ciascuno di quei rapporti lasci segni profondi nella struttura più intima della sua persona. C'è un fatto inequivocabile: l'effetto unitivo automatico del sesso.
5. A questo punto, un'obiezione classica consiste nell'ipotizzare che due ragazzi abbiano già deciso di sposarsi, e che solo un lasso temporale “organizzativo” (la casa, il lavoro, gli studi…) li separi dal matrimonio. Perché “rifiutarsi” quegli atti che, compiuti dopo le nozze, la Chiesa considera pienamente legittimi? L'errore del ragionamento sta nella premessa: anche in casi simili, il sesso avverrebbe al di fuori di una decisione di esclusività e permanenza. Soltanto il matrimonio è un punto di non ritorno che cambia la vita. Soltanto il patto matrimoniale è cosi forte e inclusivo – come scrive il filosofo Fulvio Di Blasi – da giustificare, cioè rendere giusta di fronte a Dio e agli uomini anche l'unione corporea. La castità prematrimoniale è il per¬corso propedeutico alla comprensione della vera essenza del matrimonio. Non si può capire l'indissolubilità matrimoniale se si rifiuta ottusa¬mente il valore della continenza prima delle nozze.
6. I fidanzati non hanno “il diritto” a possedersi carnalmente per la semplice ragione che ancora non si appartengono. Il sesso fuori dal matrimonio è quindi una specie di furto. Né vale a dissipare la colpa la tesi del sesso come “prova d'amore”. L'amore non si prova. Ci si crede e lo si vive, responsabilmente. Provare una persona è ridurla a oggetto.
7. La convivenza “di fatto” è, in tal senso, l'abbaglio più clamoroso per le coppie moderne: infatti, esse pensano in questo modo di “provare” il matrimonio, mentre la convivenza è tutto fuorché una prova di matrimonio, poiché manca della responsabilità di una vita altrui per tutta la vita, che è tipica solo della promessa matrimoniale. Come scrivono Arturo Cattaneo, Paolo Pugni e Franca Malagò, c'è una bella differenza tra coniuge e compagno: l'uno – da cum e iugum – è colui con il quale divido il giogo; l'altro – da cum e panis – colui con il quale divido il pane. Un conto è con¬dividere il pranzo – esperienza aperta ai più svariati incontri – e un conto è mettere in comune la sorte e tutto se stesso. L'amore dei conviventi è tutto tranne che libero; perché un amore libero da impegni è un controsenso. Il motto implicito di ogni convivenza è: “fin che dura”.
8. Nonostante queste argomentazioni, resta oggi molto difficile con¬vincere le persone che è meglio sforzarsi di aspettare la prima notte di nozze. Da un lato, gioca in senso contrario la pulsione degli istinti, che la modernità ha pensato di liquidare secondo le parole di Oscar Wilde: “L'unico modo di vincere le tentazioni è assecondarle”. Ma c'è poi un motivo più profondo: i fatti della legge morale sono molto più evidenti nel lungo periodo. Può darsi che ad alcune generazioni possa sfuggire una verità mora¬le. Ma di fronte al lungo cammino della storia, la verità si impone: una società non casta è ricca di divorzi e povera di figli.
9. Che cosa dire ai giovani che abbiano fatto esperienza della caduta nel cammino verso il matrimonio? Di solito c'è una tacita convinzione – magari avallata dall'arrendevolezza degli educatori – secondo la quale non è possibile “invertire la rotta” una volta che due fidanzati vivano, sessualmente parlando, more uxorio: “oramai…”, quasi che esistessero persone sottratte alla potenza della grazia santificante per colpa di una scelta o di uno stile di vita sbagliato. È dovere di ogni cattolico invece proporre la verità tutta intera anche a questi fratelli, trasmettendo loro la certezza della misericordia e del perdono di Dio, insieme alla robusta convinzione dell'efficacia degli stru-menti che la Chiesa mette a disposizione per “fare nuova” la vita di ognuno. Di fronte alla vertigine che oggi un giovane prova nel sentirsi proporre la castità matrimoniale, valgano sempre le parole così umane degli Apostoli di fronte alla “intransigenza” del loro Maestro: “Dunque, chi potrà salvarsi?”. E la risposta di Gesù: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19,25-26).