Eugenio Scalfari, fondatore di la Repubblica, ripropone il suo vecchio pallino su san Paolo come vero fondatore del cristianesimo.
Ne ha parlato in un suo recente editoriale: caduto da cavallo, Saulo «svenne e durante lo svenimento, mentre lentamente si riaveva, vide un’immagine affascinante da tutti i punti di vista che la sua mente ancora non totalmente riavutasi interpretò come l’immagine di Gesù. Di fatto fu il tredicesimo apostolo e sostanzialmente fu il vero fondatore della religione cristiana». Il quale inventò anche, sempre secondo Scalfari, lo Spirito Santo, parlandone per primo nella Lettera agli Efesini.
Lasciando perdere la insostenibile ricostruzione della caduta da cavallo, Scalfari ripete quel che aveva già scritto un anno fa, a cui avevamo replicato nel maggio 2015, argomentato dettagliatamente i motivi per cui non è possibile identificare San Paolo come fondatore del cristianesimo, avvalendoci della spiegazione di diversi studiosi e biblisti. Ad essi aggiungiamo oggi anche la risposta offerta dal prof. José Miguel Garcia, direttore della Cattedra di Teologia nell’Università Complutense di Madrid e docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà di Teologia San Damaso: «L’evento insolito della resurrezione fu “l’impulso creatore” che permise agli apostoli e ai predicatori -di origine e formazione giudaica- di comprendere i Libri Sacri e cercare in essi tutto ciò che i profeti avevano annunciato su Gesù […]. Le basi cristologiche che dominano il Nuovo Testamento si formarono nel breve lasso di tempo intercorso tra la morte di Gesù e la conversione di San Paolo» (J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Natura e nascita del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 391).
Martin Hengel, professore emerito di Cristianesimo delle origini all’Università di Tubinga, nonché uno dei maggiori esegeti del Novecento, ha a sua volta criticato l’insostenibile tesi di cui si fa portavoce oggi il fondatore di Repubblica. «Le radici della comunità giudeocristiana/ellenistica, o più esattamente della comunità giudeocristiana di lingua greca, in cui il messaggio di Gesù fu formulato per la prima volta in greco, risalgono chiaramente alla comunità di Gerusalemme più antica, e quindi il primo sviluppo linguistico del suo Kerygma e della sua cristologia deve essere nato già lì» (M. Hengel, L’ellenizzazione della Giudea nel I° secolo d.C., Brescia 1993). Tutto era già noto ben prima della conversione di San Paolo, compresa la concezione dello Spirito Santo che il tredicesimo mette per iscritto prima dei Vangeli, avendo ricevuto lui stesso questa tradizione dagli altri apostoli, come afferma lui stesso in 1 Cor 15,3.
E infatti gli studi esegetici, che certamente Eugenio Scalfari non conosce, hanno messo in evidenza il carattere aramaico e tradizionale delle formule e confessioni di fede che ritroviamo nelle lettere di Paolo. «Tutti questi dati indicano Gesù di Nazareth come il vero fondatore del cristianesimo», conclude il prof. Garcia alla fine della sua dettagliata spiegazione, «e Gerusalemme come il luogo in cui la cristologia è stata formulata per la prima volta» (p. 392).
Il fondatore de la Repubblica, dovrebbe almeno conoscere il prof. Romano Penna, biblista e già ordinario di Origini Cristiane presso la Pontificia Università Lateranense, il quale ha spiegato: «Il tema di Paolo come “secondo fondatore del cristianesimo” è piuttosto trito, anche se ha avuto una certa presa nel Novecento in ambito luterano. Si tratta di una concezione che però bypassa un elemento importante, cioè che tra Gesù e Paolo non c’è una continuità “gomito a gomito”. Paolo è “gomito a gomito” con la Chiesa di Gerusalemme e con le Chiese, al plurale, della Giudea. Lui stesso dice: “Io vi ho trasmesso quel che anche io ho ricevuto”. Quello che voglio dire è che c’è una fede delle origini che è assolutamente pre-paolina, la sua originalità ermeneutica elabora il dato della fede, che è anteriore a lui. Per questo quella contrapposizione non ha, alla fine, nessun senso. Si tratta di un giudizio affrettato, semplificatorio, superficiale».