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John Henry Newman
NEWS 29 Novembre 2017    

John Henry Newman

IL TIMONE – Settembre/Ottobre 2010 (pag. 52-53)
di  Cristina  SICCARDI   
Un profilo del grande cardinale, che abbracciò il cattolicesimo dopo uno studio appassionato dei Padri della Chiesa.
Aveva capito perché solo la Chiesa di Roma è quella edificata da Gesù Cristo. E ne divenne uno straordinario apologeta
«Ex umbris et imaginibus in Veritatem» (Dalle ombre e dagli spettri alla Verità) è l’epitaffio sulla tomba del Cardinale John Henry Newman (1801-1890), l’anglicano che abbraccia il Cattolicesimo dopo anni di elaborazione intellettuale, filosofica e teologica, e viene beatificato il 19 settembre a Birmingham da Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Gran Bretagna.
Tutta la sua vita è prova che la ragione può unirsi alla Fede per approdare a Santa Romana Chiesa, l’unica custode degli insegnamenti di Gesù Cristo. Per Newman l’eresia è sempre spettrale e mortifera, come specifica nel citato epitaffio voluto sulla propria tomba, oltre che nell’Apologia pro vita sua. Coloro, però, che vogliono farne un antesignano del Modernismo giungono persino a tradurre l’imaginibus della sua iscrizione funebre con simboli e non spettri, per attenuarne il carattere antirelativista. L’allora Cardinal Ratzinger, il 28 aprile 1990, in occasione del centenario della morte, dichiarava: «… fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del Cattolicesimo.
Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico [nel senso di protestante, che nega il valore della Tradizione, n.d.r], in favore d’una concezione del Cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma».
A portare Newman al Cattolicesimo è certamente lo studio appassionato dei Padri della Chiesa, ma anche il cammino fatto all’Università di Oxford, nell’Oxford Movement, nato nel 1833, teso ad interpretare la Chiesa d’Inghilterra come Via media tra il Protestantesimo e Roma.
Il 26 settembre 1843 pronuncia l’ultima omelia da vicario anglicano di Littlemore, dove, l’8 ottobre 1845, dopo aver viaggiato per cinque ore di seguito sotto la pioggia, seduto a cassetta di una vettura di linea, arriva il passionista Domenico Bàrberi, l’Apostolo dell’Inghilterra, beatificato da Paolo VI nel 1963. Sono le undici di sera ed egli stesso ricorderà: «Mi sedetti accanto al fuoco per asciugarmi. La porta si aprì e quale impressione fu per me quella di vedere comparire improvvisamente John Henry Newman che mi chiedeva di ascoltare la sua confessione e di essere accolto fra le braccia della Chiesa! E lì, accanto al fuoco, iniziò la sua confessione generale con straordinaria umiltà e devozione».
Mirabili tracce del cammino della sua conversione si ritrovano nell’Apologia pro vita sua, scritta per difendersi dagli attacchi dei nemici della sua conversione alla vera Fede. In essa, l’autore ripercorre l’intera evoluzione dell’Occidente, da quando la cultura classica diffonde il suo lievito formativo a quando il Cristianesimo ne trasforma i parametri, dirigendoli verso la dimensione ultraterrena, fino alle vicende della nuova civiltà, che portano le divisioni e le distorsioni del progetto originario, di cui l’epoca attuale è sofferente protagonista.
Il tutto espresso con libertà di indagine e chiarezza di giudizio. La sua confessio fidei diventa illuminazione decisiva e tagliente, come «una spada a doppia lama», sulla storia occidentale e, quindi, sulle radici della sua vitalità e sulle ragioni della sua decadenza.
I semi della Grazia e della dottrina raggiungono un grado di sviluppo tale da imporgli moralmente la conversione. Di sé scriverà: «Entrò nella Chiesa cattolica perché credeva che questa e solo questa fosse la Chiesa dei Padri; perché credeva che esistesse solo una Chiesa sulla terra, fino alla fine dei tempi; e perché, a meno che questa Chiesa fosse la Chiesa di Roma non ne esistevano altre». Degno erede di san Tommaso d’Aquino, ci aiuta a comprendere la bellezza della Sposa di Cristo, dove la Tradizione, con i suoi Padri, «che mi fecero cattolico», assume i connotati della risorsa sicura per la purezza della Fede.
Tutto il pensiero che lo conduce dalle ombre alla luce impasta costantemente la sua vita, fino ad identificarla con esso. Non abbiamo di fronte solamente un maestro che illustra lo sviluppo filosofico, storico e teologico delle sue scoperte ed intuizioni, ma un’anima che trova, passo dopo passo, ostacolo dopo ostacolo, sofferenza dopo sofferenza, l’approdo all’Oggetto del suo amore: la Verità.
Comprende che compito della Chiesa non è stimolare novità in campo dottrinale, ma vigilare che tali novità non debordino mai dal vero, anche con atteggiamenti repressivi, quando necessario. «Nella ricerca teologica sono sempre stati gli individui e non la Santa Sede a prendere l’iniziativa e a dare le direttive all’intelligenza cattolica. Anzi, uno dei rimproveri che si muovono alla Chiesa cattolica è quello di non aver fatto nulla di nuovo e di avere soltanto servito da remora o freno allo sviluppo della dottrina. È un’obiezione che io accetto come verità: perché penso che quello sia proprio lo scopo principale del suo straordinario dono».
Spiega con disarmante e sconcertante attualità, nel Biglietto Speech, stilato nel 1879 per ringraziare Leone XIII della berretta cardinalizia: «Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione.
Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato.
«Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia […]. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?».
Sceglie, per il suo stemma cardinalizio, il motto, tratto da san Francesco di Sales, «Cor ad cor loquitur» (Il Cuore parla al cuore), quello del Creatore a quello della Sua creatura. Trova, inoltre, negli Oratoriani di san Filippo Neri, la sua giusta dimensione religiosa.
John Henry Newman è uno dei più grandi e prolifici prosatori inglesi, nonché il più autorevole apologeta della Fede donatoci dalla Gran Bretagna, nella schiera di quei convertiti che hanno inciso nella storia del mondo, accanto a personalità come san Paolo, sant’Agostino e Gilbert Keith Chesterton.