da «Le tre età della vita interiore», vol. II, di Réginald Garrigou-Lagrange OP (Edizioni Vivere In)
La vita interiore, come può facilmente concepirsi da ognuno, è una forma elevata della conversazione intima che ciascuno di noi fa con se stesso non appena si ritrova solo, sia pure in mezzo al tumulto delle vie di una grande città. Tosto che l'uomo cessa dal conversare coi suoi simili, conversa interiormente con se stesso su quanto maggiormente lo interessa. Tale conversazione varia assai secondo le diverse età della vita; quella del vecchio non è quella del giovane; varia ancor molto secondo che l'uomo è buono o cattivo. Se cerca seriamente la verità e il bene, questa conversazione intima con se medesimo tende a diventare conversazione con Dio, e a poco a poco, invece di ricercarsi in tutto, invece di tendere, in modo più o meno cosciente, a fare di sé il punto centrale, l'uomo tende a ricercare Dio in ogni cosa, ed a sostituire all'egoismo l'amore di Dio e delle anime in Lui.
Tale è la vita interiore; e non v'è uomo sincero che non possa riconoscerlo senza difficoltà. L'unica cosa di cui parlava Gesù a Marta ed a Maria consiste nell'ascoltare la parola di Dio e nel viverla. La vita interiore concepita in tal modo è in noi qualcosa di assai più profondo e necessario della vita intellettuale o del culto delle scienze, della vita artistica e letteraria, sociale o politica. Troviamo, purtroppo, molti grandi scienziati, matematici, fisici, astronomi, che non hanno, per dir così, alcuna vita interiore; si dedicano allo studio della loro scienza come se Dio non esistesse, e nei loro momenti di solitudine non hanno alcuna conversazione intima con Lui. Sotto qualche aspetto sembra che anch'essi ricerchino, nella loro vita, il vero e il buono in un ambito più o meno circoscritto, ma tale ricerca è talmente contaminata dall'amor proprio e dall'orgoglio intellettuale, che vien fatto di domandarci se veramente porterà frutti per l'eternità. Non pochi artisti, letterati, e molti uomini politici s'elevano ben poco sopra questo livello di un'attività puramente umana e, tutto considerato, assai esteriore. Nell'intimo della loro anima vivono forse di un bene superiore a loro stessi, e cioè di Dio? A dir vero, non sembrerebbe.
Questo ci dimostra come la vita interiore, o vita dell'anima con Dio, meriti davvero di essere chiamata l'unica cosa necessaria, perché è per essa che tendiamo verso il nostro ultimo fine e assicuriamo la nostra salvezza, che non dobbiamo troppo separare dalla santificazione progressiva, perché questa è la via stessa della salute. Molti sembrano pensare che, in ultima analisi, ciò che conta è di salvarsi, e non è quindi necessario essere un santo. Che non sia necessario essere uno di quei santi che operano miracoli, la cui santità è riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa, è cosa evidente; ma se vogliamo salvarci dobbiamo prendere la via della salvezza, e questa è in pari tempo quella della santità. In cielo non vi saranno che dei santi, sia che vi siano entrati immediatamente dopo la loro morte, sia che abbiano avuto bisogno d'essere purificati nel purgatorio. Nessuno entra in cielo se non ha quella santità che consiste nell'essere puro da ogni macchia. Perché un'anima possa godere per sempre della visione di Dio, vederlo ed amarlo come egli vede ed ama se stesso, ogni colpa anche veniale deve essere cancellata, e la pena dovuta al peccato scontata o rimessa. Se un'anima entrasse in cielo prima della remissione totale delle sue colpe, non potrebbe restarvi, e da se stessa si precipiterebbe nel purgatorio per esservi purificata.
La vita interiore del giusto che tende a Dio, e che già vive di Lui, è veramente l'unica cosa necessaria. È evidente che per essere un santo non è indispensabile aver ricevuto una cultura intellettuale, e spiegare grande attività esteriore; basta vivere profondamente di Dio. È appunto quanto vediamo nei santi della chiesa primitiva, di cui molti erano povera gente, e magari anche schiavi; come possiamo vedere in san Francesco, in san Benedetto Giuseppe Labre, nel Curato d'Ars e in tanti altri. Tutti hanno compreso profondamente questa parola del Salvatore: «A che serve guadagnare il mondo intero, se poi perdiamo l'anima?» (Mt 16, 26). Se sacrifichiamo tante cose per salvare la vita del corpo, che dopo tutto dovrà morire, come non dobbiamo esser pronti a tutto sacrificare per salvare la vita dell'anima destinata a durare in eterno? E non deve l'uomo amare la propria anima più del suo corpo? «Che darà un uomo in cambio dell'anima sua?», soggiunge il Salvatore (ibid.).
Unum est necessarium, dice pure Gesù (Lc 10, 42). Una sola cosa è necessaria, ascoltare la parola di Dio e viverla per salvare l'anima propria. È questa la parte migliore che non può essere tolta all'anima fedele anche se questa avesse perduto tutto il resto.