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Dopo i decenni dell’aborto di Stato, dal 1° gennaio ai cinesi sarà  permesso più di un figlio. O quasi…
NEWS 30 Dicembre 2015    

Dopo i decenni dell’aborto di Stato, dal 1° gennaio ai cinesi sarà permesso più di un figlio. O quasi…

di Marco Respinti

 

La notizia è di quelle antipatiche, guastafeste. Sulla famosa e famigerata legge del “figlio unico”, quella che con l’aborto obbligatorio impedisce da 35 anni alle coppie di avere più di un figlio, il governo neo-post-comunista di Pechino si è rimangiato la parola. Non del tutto, ma in parte sostanziale sì, visto che il sangue continuerà verosimilmente a scorrere. Mercoledì 28 ottobre il governo ha annunciato la volontà di abbandonare la politica del “figlio unico”, un olocausto silenzioso, a causa del rapido e insostenibile invecchiamento della popolazione. Entusiasmo. 

Passano pochi giorni e venerdì 30 il governo fa sapere che la politica del “figlio unico” verrà trasformata in politica dei “due figli unici” (clicca qui). Entusiasmo raffreddato, ma meglio che niente, meglio di prima. A occhio e croce si ridurrà potenzialmente della metà l’ecatombe d’innocenti cinesi. Ma non è finita, perché il veleno sta nella coda. Siccome il 30 ottobre il governo aveva fatto sapere che le coppie cinesi non sarebbero più state costrette con la violenza all’aborto, brutalizzate, perseguitate e multate duramente qualora avessero messo al mondo un secondo figlio, l’universo mondo ha dato per scontato che il “figlio unico” fosse già un ricordo; sì, insomma che il “reato del secondo figlio” fosse depenalizzato. Solo il secondo, per carità (di patria), perché il terzo, il quarto, il quinto, rimangono un crimine, ma, appunto, meglio di pima. In realtà non è neppure così. 

Il secondo figlio cinese verrà permesso, trasformando il “figlio unico” in un triste ricordo, solo quando la legge introdotta il 25 settembre 1980 che lo impone con severità estrema verrà formalmente cambiata (clicca qui). Sì, bisogna insomma attendere la “pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale”. Marzo, si dice marzo. Ci sarà da fidarsi? Magari sì. Nel frattempo, ora di marzo saranno trascorsi quattro se non cinque mesi. Quattro se non cinque mesi in cui, formalmente, mettere al mondo più di un bambino cinese resta illegale, in cui la politica del “figlio unico” resta legge dello Stato, in cui l’aborto coatto resta in vigore, in cui le multe pesanti con cui burocrati e funzionari di partito hanno vessato per decenni le famiglie continueranno ad alimentare un tesoretto lordo di sangue.

Una notizia più che antipatica e più che guastafeste soprattutto perché non l’ha filata praticamente nessuno. Che vorrete che sia, basta pazientare qualche mese… Sì, qualche mese ancora di violenze e di soppressioni della vita umana innocente nel grembo materno. La notizia rovina il battimani e quindi non vale la pena di darla, tanto è solo questione di tempo. Ma su Io donna, il femminile patinato del Corriere della Sera, Franco Venturini la chiama, giustamente, "la tortura del figlio cinese", spiegandola così: «[…] in tutti i matrimoni che avevano vissuto male il divieto imposto per non far crescere troppo la popolazione, e che sognavano da tempo un secondo erede, il via libera emesso dall’alto è stato come una liberazione. Quanti ci avranno provato subito, con il massimo impegno? Tanti, tantissimi. Almeno fino a domenica 1 novembre, perché quel giorno la Commissione per la Pianificazione Familiare ha ritenuto di precisare che la legge del figlio unico rimaneva in vigore altri quattro mesi, e che le infrazioni dovevano essere punite con la consueta severità». 

È la considerazione che fa la differenza: «Trattandosi di autorità cinesi è difficile dire che sia uno scherzo da preti, ma quante saranno le coppie che in quei quattro giorni hanno tenacemente provato a “violare la legge”? E se i loro sforzi hanno avuto successo, cosa accadrà nove mesi dopo, quando risulterà chiaro che una infrazione è stata commessa?». Venturini chiude sperando; sperando che tra nove mesi esatti da quella finestra d’illusione apertasi per le famiglie cinesi tra il 28 ottobre e il 1 novembre la realpolitik prevarrà chiudendo un occhio. Siamo con lui, nella speranza. Nel frattempo, siccome il lume che illumina il futuro è soltanto il passato (come diceva Patrick Henry), ci permettiamo di guardare ai prossimi mesi di politica famigliare cinese con trepidazione.

Può darsi che i funzionari di partito lascino correre; ma siccome in Cina la repressione della natalità è sempre stata per molti apparatchik un business danaroso nonché l’occasione per levarsi qualche sassolino dagli stivali in questo o in quel paesino di provincia dimenticato dal dio che ha fallito (come André Gide, Arthur Koestler, Ignazio Silone e altri chiamavano il comunismo già nel 1949), quattro se non cinque mesi trascorsi ancora così, con la prospettiva che poi si chiuderà bottega, potrebbero scatenare gl’istinti peggiori. Formalmente legali. La Commissione per la Pianificazione Familiare stima del resto in 90 milioni il numero di famiglie che potrebbero concretamente beneficiare dalla legge secondo figlio. Che se poi uno fosse malizioso sentirebbe puzza di bruciato in quell’annunciare e poi precisare fatto dal governo di Pechino.