Qualche ora prima dei terribili attentati di Parigi mi trovavo in un liceo, invitato dal preside e dai docenti a parlare di droga agli alunni delle ultime classi. Venuto il momento delle domande, più d’un ragazzo è intervenuto per contestare la scientificità della mia esposizione: molti, riprendendo pari pari quanto si legge nei siti web che vendono online semi o piantine di marijuana o direttamente il “prodotto finito”, hanno ripetuto che lo spinello non fa più male di una sigaretta e che anzi può avere un effetto rilassante. E lo hanno fatto con convinzione: la stessa con la quale quarant’anni fa nelle assemblee scolastiche tanti miei coetanei parlavano dello splendore del comunismo, magari in salsa cubana o cinese. Il preside mi ha poi confidato che nel pomeriggio un genitore, cui il figlio doveva avergli fatto compiuta relazione, gli ha telefonato per protestare contro l’assenza di contraddittorio: non mi è chiaro se l’interlocutore alternativo avrebbe dovuto essere un teorico della bontà della cannabis o uno spacciatore… Per completare il quadro: il liceo è di un paese del Sud e i docenti avevano preparato l’incontro fornendo materiale del tutto omogeneo con quello da me adoperato, quindi non vi era ostilità di partenza.
Che c’entra con quel che è accaduto la sera intorno alla Senna? In apparenza nulla: se non che il corpo sociale che sta per impattare con l’aggressione delle frange islamiche più radicali – quelle che organizzano ed eseguono gli attentati e quelle che studiano una penetrazione meno devastante ma culturalmente più efficace – è attraversato da giovani, domani adulti, per i quali la priorità è la libertà di “farsi”. Spalleggiati da genitori che si preoccupano non delle nuvole di “fumo” che in orario scolastico escono dai bagni frequentati dai loro figli, ma del fatto che qualcuno osa discutere la salubrità di quel “fumo”. Mentre per i loro rappresentanti nelle istituzioni, parlamento e governo in testa, la priorità non è impedire che un corpo sociale cada in balìa del terrore, ma far passare la legge sui matrimoni e sulle adozioni gay: se non fosse così, con quel che è accaduto nel solo anno solare in corso, fra Charlie Hebdo, Copenaghen, Bruxelles, Tunisi, Beirut e il volo russo abbattuto a Sharm el-Sheik, e con i preoccupanti sviluppi delle indagini su cellule terroristiche nel territorio italiano, da ultimo intorno a Merano, gli ordini del giorno delle sedute delle Camere e dei Consigli dei ministri sarebbero stati densi di misure urgenti per fronteggiare e sconfiggere il terrorismo di matrice islamica. Invece siamo stati deliziati dalle dissertazioni sulla stepchild adoption.
Quel barlume residuo
Dev’esserci una ragione se, nonostante quello che l’Europa è diventata, centinaia di migliaia di persone in fuga dalle persecuzioni continuano a raggiungere il territorio dell’Unione Europea; è una ragione non distante da quella per la quale il terrorismo islamico semina morte a Parigi, Madrid, Londra. La ragione è che, nonostante tutto e nonostante noi stessi, da noi residua qualche barlume di civiltà: se volessimo un punto di partenza su cui fondare una risposta intelligente al terrore sparso in nome di Allah, dovremmo cominciare a riscoprire chi siamo realmente.
Qualche giorno prima della strage di Parigi ai bambini delle terze della scuola elementare Matteotti di Firenze è stato impedito di visitare le opere della mostra Divina Bellezza, dedicata al rapporto fra arte e sacro: fra esse, la Crocifissione bianca di Chagall, ammirato da papa Francesco, la Pietà di Van Gogh, la Crocifissione di Guttuso, l’Angelus di Millet. Perché? Lo spiega il verbale del consiglio interclasse: «La visita è stata annullata per venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche visto il tema religioso della mostra». Contro il terrore servono certamente gli eserciti e le misure di sicurezza. Serve attivare canali di interlocuzione col mondo dell’islam presente da noi, essendo ingiusto sovrapporlo per intero alla realtà del terrorismo. Ma serve prima ancora ricordarsi di che cosa siamo. Non perderlo di vista col fumo di una “canna”.