di Paolo Mastrolilli
Nella sede delle Damas de Blanco, sulla parete sopra al divano buono, ci sono tre poster: al centro, grande, quello della visita di Papa Francesco a Cuba; a sinistra il Sacro Cuore di Gesù; e a destra un’immagine della Virgen de la Caridad, la patrona dell’isola. Però Berta Soler, leader del gruppo dissidente che riunisce donne parenti di prigionieri politici, non può tacere una richiesta al Vaticano e agli Stati Uniti: «La Santa Sede dovrebbe protestare, perché arrestando i dissidenti che volevano salutare il Santo Padre, il regime le ha mancato di rispetto; gli Usa invece dovrebbero mantenere l’embargo, fino a quando non otterranno qualcosa di concreto in cambio». Berta, premio Sakharov dell’Europarlamento per la libertà di pensiero, parla così perché sabato è stata fermata mentre andava col marito Angel Moya alla nuziatura per salutare il Papa.
Ci racconta cosa è successo?
«Sabato mattina è venuto qui il segretario della nunziatura, per dirmi che circa 150 persone erano invitate la sera a dare un benvenuto informale al Santo Padre. Mi ha detto di venire, ma di essere discreta. Alle 15,30 sono uscita di casa con mio marito, ma quando siamo arrivati all’incrocio tra Via Blanca e Lacre siamo stati intercettati da una pattuglia della polizia. Ci hanno fatti a salire in auto, e ci hanno portati nel commissariato di Alamar, Habana del Heste».
Hanno usato violenza?
«Solo per forzarci a entrare, ma meno di quella che usano ogni domenica per fermare la marcia delle Damas de Blanco sulla Quinta Avenida, dove di recente hanno rotto il braccio a una donna».
Cosa è successo nel commissariato?
«Ci hanno divisi, portando mio marito in una stanza, e me in un’altra. Dopo qualche ora è venuto un agente e mi ha chiesto dove andavamo. Gli ho risposto, e lui mi ha detto: Berta, lo sai che ti controlliamo, dov’è l’invito alla nunziatura? Ho spiegato che era un invito orale e mi ha risposto che se volevo dare qualcosa al Papa, potevo consegnarla a lui. Quindi ci hanno tenuti in commissariato fino alle 8,30 della sera, quando ormai era troppo tardi per vedere Francesco».
La stessa scena si è ripetuta domenica sera, alla cattedrale?
«Io non c’ero, ma Marta Beatriz Roque e la giornalista Miriam Leiva avevano ricevuto lo stesso invito orale per salutare il Santo Padre, e Marta mi ha detto che è stata fermata».
Cosa è capitato invece durante la messa a Plaza de la Revolucion?
«Saqueo Baez, Maria José Acon, Ismail Beney e una quarta persona si sono avvicinati all’auto del Papa. Saqueo gli ha detto qualcosa e dato un documento, e Francesco l’ha benedetto. Poi sono stati tutti arrestati, e al momento sono desaparecidos».
Di chi è la colpa del mancato incontro con i dissidenti?
«Del regime, che lo ha impedito, nonostante la volontà del Papa».
Come dovrebbe reagire la Santa Sede?
«Dovrebbe protestare, perché è stata una mancanza di rispetto verso il Vaticano, e una violazione della libertà di religione di fedeli come me che domenica volevano andare a messa».
Francesco secondo lei non doveva venire a Cuba?
«È il rappresentante di Cristo sulla Terra, deve poter andare dove vuole. La fede è ciò che mi sostiene e lo volevo qui. Mi è piaciuta la sua omelia, quando ha sollecitato a servire gli uomini, invece dell’ideologia. Però speravo che parlasse anche di diritti umani e repressione, come Giovanni Paolo II. Ma Francesco è ancora qui e può parlare, prima che vada negli Usa a domandare la fine dell’embargo».
Perché Washington non dovrebbe fare questa concessione?
«In cambio non ha ottenuto nulla. Le relazioni sono ristabilite da 9 mesi e la repressione è aumentata. A Cuba servono libertà, diritti e un’economia non controllata dal regime. Noi continueremo la nostra protesta, ogni domenica».