Sono seduta in un vagone della metro, due ragazzi parlano fra di loro del loro prof, a occhio e croce sono universitari. A dire la verità uno parla, l’altro un po’ lo ascolta un po’ smanetta sul telefonino, che è poi l’occupazione prevalente dei passeggeri, soprattutto da quando c’è rete anche sottoterra. Diversi fissano il vuoto.
Pochi, se vogliamo essere precisi in questo momento uno solo, nel mio campo visuale, legge. Una cosa accomuna tutti: la faccia seria. Nessuno, ma proprio nessuno al momento sorride. A dire la verità neanche io, che devo scrivere questo articolo e non mi posso distrarre.
Eppure credo che questo dovrebbe essere il nostro compito in questa terra di missione che sono diventate le nostre città senza cattedrali, le nostre strade senza immagini sacre, le nostre metro senza sorrisi. Portare la buona notizia. Vorrei dire alla mia vicina di sedile, che sta giocando a briscola col suo cellulare, e al vicino dall’altro lato, l’operario rumeno con le mani crepate che lotta contro il sonno, vorrei dire che noi siamo a immagine di Dio!!! Che siamo di stirpe regale, divina, che noi somigliamo al creatore dell’universo. Siamo sicuri che possiamo essere malinconici, annoiati, demotivati? Tristi sì, va bene, quello può succedere, anche Gesù lo è stato.
Ma annoiati, grigi, no, non possiamo abituarci al miracolo che ci è annunciato dal primo capitolo della Genesi: “facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza”. Dice Joaquin Navarro Valls l’uomo che è stato a fianco di Giovanni Paolo II che il Papa aveva fatto una scelta di fondo dell’anima, la scelta di essere allegro. Perché a questa cosa, o ci credi, o no. E se ci credi, come puoi essere triste? Come è possibile non gioire di essere della stirpe dell’Onnipotente, a sua immagine?