«Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8, 28)
È questa una certezza fondamentale della rivelazione cristiana che diventa, quindi, una certezza della nostra fede. L'Apostolo parla di un sapere certo, sicuro, indubitabile, non originato dall'esperienza sensibile, né frutto della riflessione umana. Si tratta di un sapere acquisito esclusivamente per rivelazione divina, che svela l'esistenza di un superiore disegno di Dio sull'uomo.
L'uomo, a sua insaputa, si trova immerso in una realtà che supera la sua intelligenza e le sue aspettative; improvvisamente si scopre oggetto di un amore inatteso, eppure così necessario; si sente il felice destinatario di una promessa ineffabile di gioia perenne. Prende così coscienza di essere chiamato a realizzare un disegno da sempre preparato per lui, dove tutto concorre al bene. Quel disegno non conosce deficienze e non comprende lacune, essendo ogni cosa disposta dalla sapienza di Dio e guidata dal suo amore: tutto è orientato al bene di quanti amano Dio.
Ma è proprio quel "tutto" a mettere la nostra ragione di fronte a un'apparente assurdità. È naturale che dal bene derivi il bene, ossia che il bene sia causa del bene. Si tratta di una verità logica evidente, indubitabile; una verità, però, smentita dall'esperienza innegabile del male. Infatti, per sua natura, il male è il contrario del bene, essendo la negazione del bene. Dunque, appare impossibile che dal male possa derivare un bene, essendo questo effetto contrario alla sua causa. Eppure – ed è questa la certezza che ci viene rivelata – l'amore di Dio è talmente sapiente e potente che sa orientare al bene anche il male. Poiché nessuna realtà è assolutamente cattiva, Dio è in grado di potenziare gli aspetti positivi, insiti in ogni realtà, da finalizzare ogni cosa al bene all'interno del suo disegno divino.
Usiamo il termine fede per designare proprio questa originale visione delle cose, che trae la sua luce dalla rivelazione divina. Chi possiede la fede, ossia chi crede alla rivelazione divina, guarda le cose con gli occhi di Dio; le vede e le comprende con la sapienza di Dio. La fede teologale permette all'uomo di cogliere in modo oggettivamente indubitabile la verità, poiché contempla ogni realtà nella verità stessa di Dio. Pertanto chi crede non può errare nella verità, perché Dio, che è verità, non erra.
Rimane il fatto, però, che la ragione umana è turbata e disorientata dal contrasto (razionalmente inconciliabile) tra l'esistenza del bene e l'esperienza del male; un contrasto dovuto alla nostra condizione umana. L'intelletto umano è una facoltà conoscitiva che possiede una sua intrinseca validità; esso è in grado di cogliere – come suo oggetto proprio – l'essenza delle cose, ossia la loro intrinseca verità, secondo la propria modalità razionale. Ma l'anima umana, cioè il principio conoscitivo proprio dell'uomo, può ricevere un dono soprannaturale di grazia. Se questo avviene, essa riceve da Dio un nuovo principio conoscitivo, ossia una luce divina che le consente una visione divina della realtà.
L'uomo, pertanto, può conoscere la realtà secondo una duplice modalità: con la ragione e con la fede. Ma ciò che la fede conosce non è razionalmente dimostrato e dimostrabile; in caso contrario, la fede sarebbe la stessa ragione. Si verifica così una situazione del tutto particolare: chi crede conosce e afferma per fede delle verità che la ragione non conosce e non può affermare. Ma l'assenza di oggettiva opposizione tra fede e ragione, non esclude una soggettiva difficoltà nel comporre l'unità della verità. Nel porre l'atto di fede – atto per sua natura ragionevole, ma non motivato sulla ragione – il credente può trovarsi di fronte a verità che sembrano contraddire la logica razionale. È questo il paradosso della fede: la fede afferma delle verità, in apparente contrasto con l'esperienza comune, che risultano profondamente certe e rasserenanti. La fede ci assicura che nulla di quanto accade avviene a caso; che nulla è radicalmente contro il nostro bene, tranne il peccato che noi stessi compiamo; che Dio sa orientare anche il male al nostro bene.
Chi vive questa fede trova motivo per lodare Dio e ringraziarlo di ogni cosa, scorgendovi un amore misterioso ma vero; sa che il male fa soffrire ma produce frutti di santità; è sorretto dalla beata speranza di una gioia immortale. Con la serenità di chi non teme smentite il credente può veramente affermare: tutto è grazia, tutto è sapienza e bontà, tutto è provvidenza di Dio.
* dall'introduzione a «Il paradosso della fede: tutto concorre al bene», Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2011