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Dal culto a Dio viene l’autentico amore per i poveri. L’esempio di Don Bosco e di sua mamma
NEWS 19 Agosto 2015    

Dal culto a Dio viene l’autentico amore per i poveri. L’esempio di Don Bosco e di sua mamma

di don Marco Begato SDB

 

Per festeggiare don Bosco, nel bicentenario della sua nascita (16 agosto), ho voluto raccogliere un piccolo cammeo in onore di sua madre, Margherita Occhiena. La santa donna, di cui sono avviati i processi per la beatificazione, attraversa una fase di discreto successo negli ultimi anni, complice il clima di rinnovato approfondimento del protagonismo laicale nella Chiesa, anche se di fatto rimane una figura poco conosciuta e poco coltivata. Purtroppo, quel poco basta a far fiorire qua e là interpretazioni riduzioniste, generalmente orientate in chiave pauperistica e secolarizzante. Assumendo a priori la buona fede di chi le pronuncia, e senza voler sollevare polemiche di sorta, vorrei dedicarmi alla ricostruzione di un caso – uno tra i non molti attinti da una biografia in fondo non ricchissima di cronache e di aneddoti – in cui al sottoscritto appare evidente la strumentalizzazione e di cui potrebbe risultare istruttiva la correzione.

Di Mamma Margherita tutti ricordano e ripetono con una certa enfasi l’episodio del colera del 1854: mentre don Bosco era per le strade assieme ai suoi giovanetti, intento ad assistere le centinaia di colerosi colpiti dall’epidemia, la buona madre procurava il necessario per le cure, non risparmiando neppure i paramenti dell’altare. Come si potrà intuire, il racconto si presta facilmente all’esaltazione della Chiesa-ospedale-da-campo in cui – almeno secondo una vulgata mediatica, non certo avallata dal Magistero, eppur molto diffusa anche in alcuni ambienti cattolici – gli inutili riti andrebbero messi da parte, per dedicarsi all’unico culto: quello del povero ammalato, magari migrante.

Ora, il fatto del colera è avvenuto, è significativo, è esemplare, ma va ricostruito in modo più autentico per non venir frainteso e piegato a ideologie di moda. Raccoglieremo dalle Memorie Biografiche, mastodontica biografia di don Bosco in diciannove volumi, pochi ed esaurienti dati utili alle nostre chiarificazioni. Ci limiteremo a scorrere tre passaggi emblematici.

L’intero volume primo presenta molti elementi della persona di Margherita (la cui morte è registrata nel volume quinto), ma è il secondo tomo ad interessarci, laddove la donna non più giovane si appresta a seguire il figlio sacerdote fino a Torino, per assisterlo col proprio lavoro e… col proprio denaro.

Quantunque entrambi avessero collocata la loro fiducia nei granai e nei tesori della divina Provvidenza, tuttavia non tralasciarono di fare quanto dipendeva da loro, a fine di non obbligarla sì tosto a dar mano ai miracoli. – Facciamo noi quello che possiamo, esclamava don Bosco, e il Padre delle misericordie aggiungerà ciò che manca. – Perciò egli, d’accordo colla madre, prese ed effettuò il partito di vendere alcuni appezzamenti di campo e di vigna che possedevano al paese natio. Né ciò ancor bastando, la madre si fece mandare il suo corredo di sposa, che aveva fino allora conservato gelosamente intatto: vesti, anello, orecchini, collane. Avutolo, parte ne vendette, parte ne impiegò a far sacri arredi per la cappella dell’Oratorio che era poverissima. Alcune sue vesti servirono a formare pianete; colla biancheria si fecero camici, cotte, purificatoi, tovaglie per l’altare. Ogni cosa passò per mano di Madama Margherita Gastaldi, che fin d’allora prendeva parte ai bisogni dell’Oratorio. Il prezzo della collana servì a comprare galloni e guarniture pei sacri paramenti.

Per quanto la buona donna fosse distaccata dalle cose del mondo, tuttavia lo spropriarsi di quei preziosi ricordi le costò non poca pena. Una volta che ne parlava la udimmo a dire: “ Quando mi vidi quegli oggetti per l’ultima volta tra mano, e stava per alienarli o disfarli, mi sentii pel rincrescimento alquanto turbata; ma non appena me ne sono accorta, dissi: Andate là; che sorte migliore non vi potrebbe toccare, quanto si è quella di sfamare e vestire poveri fanciulli, e fare onore in Chiesa allo Sposo celeste. – Dopo quest’atto mi sentii così contenta, che se avessi avuti cento altri corredi, me ne sarei privata senza alcun rammarico ”. Ella metteva in pratica quella sentenza così famigliare sulle labbra del suo degno figliuolo: – Quando si tratta di servire si buon padre, come Iddio, bisogna essere pronti a tutto sacrificare. (MB II, 55)

Ecco una testimonianza che è a dir poco sconosciuta per i non addetti ai lavori. Mamma Margherita, ben prima di prendere i lini dell’altare per farne garze utili ai moribondi, ha rinunciato alla propria dote di sposa, per confezionare paramenti ed arredi liturgici. Un atto eroico, di cui non si tace la fatica e lo sforzo.

Saltiamo due volumi oltre e scopriamo l’evoluzione della povertà evangelica di Margherita: non si parla più di sforzi per distaccarsi dai beni materiali, al contrario ora è don Bosco che fatica a convincere la buona madre ad avere maggior cura di sé e del proprio abbigliamento.

Ma come vuoi che faccia a comprarmi una veste mentre non abbiamo niente?

– È vero che non abbiamo niente; ma piuttosto che vedervi così lacera, lasceremo di comprare il vino, lasceremo la pietanza, e voi provvedetevi.

– Quando la cosa sia così, vada pure questa spesa.

– E quanto costerà un vestito?

– Venti lire

– Eccole!

Margherita, prese le venti lire, se ne andò pe’ suoi lavori. Passa una settimana, ne passano due, passa un mese e Margherita aveva sempre la stessa veste indosso. D. Bosco finalmente la interrogava: – Mamma! E il vestito nuovo?

– Già! Hai ragione! Ma come si fa a comprarlo se non ho un soldo?

– E le venti lire?

– Oh! a quest’ora sono spese! Con quelle ho comperato sale, zucchero, cipolle e cose simili. Poi ho visto un povero giovane che era senza scarpe, e gliene ho dovuto comprare un paio. Mi rimase qualche residuo, ed ho provvisto di calzoni il tale, e di cravatta il tal altro. (MB IV,15)

Infine, tra gli ultimi accadimenti riferitici, troviamo il su citato caso dei colerosi, però integrato da qualche dettaglio non indifferente:

 Ma le domande di soccorsi continuavano: erano povere madri di famiglia che venivano a raccomandarsi per le loro figlie, o ragazze per le loro madri, o altre donne che si prestavano per l’ufficio di infermiere; e Margherita, donate le sue cuffie, il suo scialle, terminava con dar loro le sue vesti e le mezze sottane, in modo da non avere più altri panni fuori di quelli che indossava.

  Un giorno le si presenta una persona  chiedendo ancora qualche oggetto per coprire i sofferenti. Margherita è presa da vivo dolore per non aver più niente da donare. Poi, colpita da una subitanea idea, prende una tovaglia della mensa dell’altare, un amitto, un camice e va a chiedere licenza a D. Bosco di poter dare in elemosina quegli oggetti di chiesa. D. Bosco concede e Margherita porge tutto alla richiedente. Così i sacri lini rivestivano le membra di Gesù Cristo, ché tali sono i poverelli. D. Bosco aveva scritto di sua mano sovra un foglio: Si può egli fare cosa più degna dei vasi destinati a contenere il sangue del Redentore che col ricomprare per la seconda volta coloro che sono già stati comprati col prezzo di questo sangue medesimo Così S. Ambrogio, costretto dalla necessità a vendere i vasi sacri in riscatto degli schiavi. (MB V, 9)

Dai tre passi presentati emergono vari valori, essenziali al buon cristiano, eppure spesso trascurati e post-posti al valore tutto relativo del gusto contemporaneo, ispirato più al pauperismo e al retaggio ideologico comunista che non al Vangelo. Primo valore a presentarsi è quello dell’obbedienza, la laica Margherita non osa porre un gesto, che si avverte essere delicato e forse scandaloso, senza prima averne chiesto il permesso al sacerdote e guida dell’Oratorio, obbedienza che implica umiltà e istruita coscienza del proprio compito nella Chiesa; in secondo luogo si offre uno spunto teologico, i poveri vanno amati non perché poveri, ma perché immagine e in certo modo presenza del Signore Gesù; infine la ragione teologica si approfondisce, è il riscatto delle anime a mostrarsi quale spinta fondamentale delle scelte dei santi. Precisiamo: da un lato va ribadito che il riscatto del povero dalla povertà, del malato dalla malattia e dello schiavo dalla prigionia ha senso ed è azione santa se orientato a completarsi nello sforzo del riscatto dell’anima dalle insidie del Diavolo e del peccato; d’altro lato gli oggetti liturgici non vengono sacrificati a cuor leggero, né si dice che essi in fondo sono poco importanti e che dunque val la pena di metterli automaticamente in secondo piano rispetto a qualsivoglia emergenza mondana, si dice invece che essi hanno il compito di rendere possibile e vivo il memoriale della Redenzione, e dunque non ripugna che vengano sacrificati a una causa che si prefigge esplicitamente un intervento a fini redentivi per i fratelli più bisognosi. Propriamente l’uso medico dei lini di chiesa non è presentato come un’infrazione, bensì come un inveramento d’eccezione rispetto al loro impiego ordinario; nessuna contraddizione e nessun facile hegelismo di maniera, piuttosto un approfondimento di un bene riconosciuto, mai rinnegato, né sovrastimato, quanto applicato – questo sì – ad un caso molto speciale.

In tutto ciò trova conferma dunque il valore enorme dell’apparato liturgico, appunto non in quanto feticismo estetizzante fine a se stesso, bensì quale imprescindibile strumento che ci mantiene, corpo ed anima, singoli e comunità, in prossimità e in contemplazione del Mistero più alto, quello del Sacrificio di Cristo per la salvezza delle anime.

Dai racconti del biografo pare proprio che Mamma Margherita avesse chiaro tutto ciò. Esso è monito importante per ognuno: per chi coltiva liturgie e cerimonie senza che esse smuovano e conducano all’autentico zelo pastorale; per chi inneggia a scelte pauperistiche, dimenticando o negando il fine teologico che deve impregnarle in un contesto di vita cristiana; per chi strumentalizza i santi, cercando di giustificare le proprie negligenze rituali, spesso restando persino incapace di imitarne l’eroismo nella virtù della povertà.

Traiamo insieme la lezione – già scoperta nelle agiografie di altri grandi imitatori di Cristo, quali san Francesco e san Giovanni Maria Vianney – che la povertà del cattolico non è mai assimilabile ad uno slogan politico da gettare in faccia agli avversari, bensì è un traguardo difficile da raggiungere, dono di Grazia che il Signore stesso concede a coloro che si sforzano di assimilare tutta la propria vita alla Sua, facendo proprio il Suo desiderio salvifico universale.