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Perchè è giusto dare l’unzione degli infermi anche a una persona non più consapevole
NEWS 4 Agosto 2015    

Perchè è giusto dare l’unzione degli infermi anche a una persona non più consapevole

Quali effetti comporta il sacramento dell’unzione degli infermi chiesto da un familiare per una persona anziana, ancora in vita, che ammalata di Alzheimer, non è assolutamente in grado di accostarsi alla confessione e all’eucaristia e quindi capirne i benefici per la sua salvezza?
Luciano Olivieri

Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentaria alla Facoltà teologica dell'Italia centrale.

La domanda dal lettore coinvolge un aspetto della teologia sacramentaria che va al di là della questione particolare sulla quale si chiede una risposta. Possiamo, quindi, affrontare il discorso in generale e scendere poi sul particolare di un’unzione degli infermi dato ad una persona, ritenuta ormai incapace di comprendere il senso di quanto sarebbe celebrato.

La fede della Chiesa ha sempre riconosciuto un valore singolare alle azioni liturgiche, in modo speciale a quelle sacramentali. L’Oriente cristiano ha posto l’accento soprattutto sul valore ecclesiale della liturgia, elemento costitutivo della santa e viva Tradizione. Ogni celebrazione avviene nella fede della Chiesa, che crede come prega. La riflessione occidentale ha messo più in evidenza come Cristo sia «presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, n. 7, dove si rinvia a un celebre passo di Agostino: «Battezzi pure Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza», Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia VI, n. 7).

Le due posizioni chiedono di essere coniugate e non contrapposte. Come si esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica, i sacramenti sono al tempo stesso sacramenti di Cristo e della Chiesa. Il valore ecclesiale del ministro è fondamento del suo riferimento cristologico. Per la validità dei riti sacramentali occorre sempre che il ministro abbia l’intenzione di compiere quanto intende fare la Chiesa con quel gesto simbolico. Così il Concilio Ecumenico di Firenze nella bolla di unione con la Chiesa armena: «Tutti questi sacramenti sono completati di tre elementi: cioè di cose a somiglianza di materia, di parole a somiglianza di forma e della persona del ministro che conferisce il sacramento, con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa» (Decreto per gli Armeni Exsultate Domino).

Tuttavia, l’insistenza sulla dimensione oggettiva del rito non ha mai voluto squalificare la fede di chi si disponeva a ricevere i sacramenti. Studi ormai classici hanno mostrato come la Chiesa antica tenesse in grande considerazione la fede personale, disposizione interiore importante per accogliere la grazia di Dio e permetterle di trasformare la vita del credente.

Nel XVI secolo le posizioni estremiste di Lutero e degli altri riformatori reinterpretarono la comprensione della fede cristiana e la Chiesa cattolica fu spinta a difendere quanto veniva contestato. Il Concilio di Trento conferma la fede cattolica per cui si condanna chi affermi che i sacramenti della Nuova Legge non … conferiscano la grazia significata a quelli che «non frappongono ostacolo» (cf Decreto sui sacramenti, canone 6). L’espressione usata, non frapporre ostacolo (complicata anche in latino: non opponentibus obicem), fu decisa durante la discussione assembleare per includere nel testo il battesimo dei bambini, il cui valore pieno non era mai stato messo in discussione. Nella grande Tradizione della Chiesa il battesimo dei bambini è praticato da tempo immemorabile, riconosciuto come pieno e autentico battesimo. Il bambino non è consapevole di quanto è celebrato per lui, ma al tempo stesso non oppone un rifiuto consapevole verso il dono di grazia. Quanto deciso per il battesimo ha valore per ogni altro sacramento.
Così ci stiamo spostando verso la conclusione del nostro discorso. I doni di Dio sono assolutamente gratuiti. Offerti alla fede e alla libertà dell’uomo, non dipendono in modo assoluto dalla sua risposta, né dalla piena consapevolezza di chi li accoglie. Certamente la situazione più adeguata per celebrare un sacramento è quella di una piena e attiva partecipazione dei fedeli, secondo la riforma liturgica sancita dal Concilio Vaticano II: «Ad ottenere però questa piena efficacia, è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con disposizioni d’animo retto, conformino la loro mente alle parole e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano» (Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, n. 11).

L’azione pastorale deve tendere a far vivere a tutti, personalmente e comunitariamente, una partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa alle celebrazioni liturgiche. Ma il mistero di Dio e dei suoi doni è molto più grande della nostra consapevolezza. La Chiesa continua a battezzare i bambini nella fede professata dai loro genitori. La Chiesa continua ad offrire i suoi sacramenti ad ogni persona, anche quando si trovi in situazioni di autoconsapevolezza, diversa da quanto riteniamo rientrare nella normalità.

L’unzione data ad un malato in fin di vita o in uno stato di non consapevolezza è pur sempre quel dono di Dio che unisce profondamente la persona al Cristo sofferente e crocifisso, perché la sua realtà di sofferenza sia trasfigurata dalla comunione con il Signore risorto. Al tempo stesso, proprio attraverso il sacramento dell’unzione la Chiesa raccomanda i suoi figli malati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi (cf Gc 5,14-16). Attraverso ogni sacramento, infine, lo Spirito Santo ci conforma profondamente a Cristo, in quella tensione verso il Regno definitivo, quando saremo da Lui consegnati nelle mani del Padre. Se siamo chiamati a vivere in una fede libera e consapevole questa conformazione di grazia, resta pur sempre un dono così gratuito che trasforma al di là delle nostre capacità di accoglienza e risposta.