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Il dossier della Caritas italiana: «I cristiani sono i più perseguitati: 100 milioni vittime di violenze»
NEWS 31 Luglio 2015    

Il dossier della Caritas italiana: «I cristiani sono i più perseguitati: 100 milioni vittime di violenze»

di Domenico Agasso Jr.

 

La ricorrenza della pubblicazione non è casuale: vuole ricordare «l'irruzione un anno fa degli uomini dell’Isis a Mosul e l'inizio di un esodo che in poche settimane portò più di un milione di persone a rifugiarsi nella regione irachena del Kurdistan, accolte in particolare nella regione di Erbil, Dohuk e Zakho». Ecco perché, spiegano da Caritas italiana, esce oggi, a fine luglio, il dossier «Perseguitati. Cristiani e minoranze nella morsa fra terrorismo e migrazioni forzate», che «approfondisce in modo particolare il dramma delle oltre 100 milioni di vittime di discriminazioni, persecuzioni e violenze messe in atto da regimi totalitari o adepti di altre religioni».

 

I cristiani sono i più perseguitati

Il Dossier sottolinea le parole (ottobre 2013) del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso e Camerlengo: «Il cristianesimo è la religione più perseguitata del pianeta». In Corea del Nord ci sono tra 50 e 70mila cristiani imprigionati in campi di detenzione. Poi, i paesi in cui i cristiani sono perseguitati con più intensità sono la Somalia, l’Iraq, la Siria, l’Afghanistan, il Sudan, l’Iran, il Pakistan, l’Eritrea e la Nigeria. Da novembre 2013 al 31 ottobre 2014 i fedeli uccisi «per ragioni strettamente legate alla loro fede sono stati 4.344», si legge nel documento Caritas, «mentre le chiese attaccate per la stessa ragione sono state 1.062». È «una barbarie che peraltro – precisano da Caritas – colpisce molte altre minoranze religiose ed etniche e che rivela un preoccupante aumento dell’intolleranza».

 

La «classifica generale»

A guidare la graduatoria dei paesi per numero di forme di persecuzione contro minoranze e gruppi etnico-religiosi colpiti è la Siria, dove è in atto dal 2011 una guerra intestina, «inizialmente volta alla destabilizzazione del regime di Bashar al-Assad, mentre ora a essere nel mirino sono principalmente obiettivi politici e le appartenenze religiose non tanto come elementi confessionali ma come possibili oppositori politici». Dunque, «rispetto a quanto diffuso dai media internazionali, i cristiani in Siria sono una delle numerose minoranze perseguitate non tanto come seguaci del cristianesimo, ma perché si inseriscono nello scenario di uno scontro politico più grande, dominato dalle milizie governative di Assad e dai gruppi armati rivoluzionari»; questo è un conflitto reso «ancora più instabile dal dilagare, a partire dal 2013, degli adepti dell’Isis sul territorio siriano, che invece accentua l’aspetto dichiaratamente persecutorio nei confronti delle minoranze religiose, etniche e di altri musulmani che non accettano la loro linea estremista».

 

Poi tocca a Somalia, Sudan, Afghanistan, Iraq, Repubblica Democratica del Congo, Pakistan, Myanmar, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana.

 

Dove le violenze sono cresciute di più

Nella classifica dei paesi con il maggior numero e la maggiore intensità delle persecuzioni in atto, «hanno guadagnato significative posizioni Siria, Iraq, Repubblica Centrafricana, Egitto, Cina, Russia e Ucraina. In particolare, per quanto riguarda le ultime tre nazioni citate, è da notare che la Cina ha guadagnato quest’anno 15 posizioni, andandosi a situare al 29° posto, preceduta dall’Ucraina, al 21° posto, che ha scalato ben 39 posizioni».

 

Chiesa e Caritas italiane 

Di fronte alle emergenze, in particolare quelle irachene, «la Chiesa locale si è mobilitata dando accoglienza nei cortili, nelle chiese e in ogni spazio disponibile» sottolinea il direttore di Caritas italiana, don Francesco Soddu, ricordando la visita fatta insieme al segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, lo scorso ottobre ai campi profughi a Erbil. «La Chiesa italiana – si aggiunge – aveva già promosso una giornata di preghiera, il 15 agosto».  

L’impegno di Caritas si è concentrato su progetti di assistenza nelle diocesi di Erbil e Dohuk «con un grande programma di gemellaggi per oltre un milione di euro a favore di 13mila famiglie di cristiani e della minoranza degli yazidi, costrette a fuggire dai loro luoghi di residenza. Dal 2003 a oggi il sostegno economico di Caritas italiana ai progetti di Caritas Iraq e della rete delle organizzazioni collegate alla Chiesa locale è stato di 3,3 milioni di euro».

 

Kharya, sopravvissuta all’Isis

Nel dossier si trova anche la storia di Kharya Yossuf Abood, 55 anni: «Prima che Mosul venisse presa dall’esercito dello Stato islamico, io e la mia famiglia siamo fuggiti in direzione del vicino villaggio di Hamadania nella speranza di mettere al sicuro le nostre vite. Erano le 5,30 del mattino del 6 agosto quando ad Hamadania siamo stati svegliati dagli uomini dell’Isis che bussavano con forza alle nostre porte. Ci hanno dato tre scelte: convertirci all’islam ed essere fedeli al nuovo Stato islamico; pagare il riscatto per la nostra salvezza, la cosiddetta Jizya; oppure morire, decapitati. Mentre parlavano facevano volteggiare la spada intorno al mio collo, per poi poggiarla con forza contro la gola». Prosegue: «Siamo stati prigionieri dell’Isis per dieci giorni, rinchiusi in una casa dietro l’ospedale di Hamadania. Non avevamo acqua, elettricità, cibo. Gli uomini dell’Isis cucinavano per loro stessi e quando avevano finito di mangiare gettavano alle donne della mia famiglia i loro avanzi, come se fossimo cani. Personalmente non ho mangiato o bevuto nulla; e ancora faccio fatica a riprendere un’alimentazione normale. Sono troppo sconvolta». Kharya e la sua famiglia sono stati liberati dopo il pagamento di un riscatto, e successivamente, «siamo tornati verso Mosul, nella speranza di dirigerci verso Dohuk, città libera dalla minaccia dell’Isis. Purtroppo alla frontiera ci siamo imbattuti nelle truppe regolari dei peshmerga, che non ci hanno fatto attraversare il confine, temendo che fossimo dei terroristi infiltrati. Siamo quindi stati respinti ancora una volta ad Hamadania dove l’esercito dell’Isis ci ha nuovamente preso in ostaggio privandoci di tutti i documenti, carte di identità e passaporti compresi. Fortunatamente fra loro c’era un uomo di Hamadania che conoscevo e che ci ha risparmiato la vita».