È stata la notizia che ha fatto più rumore, all’annuncio del prossimo Giubileo della misericordia: la facoltà concessa, in via straordinaria, dal Papa ad alcuni sacerdoti che saranno inviati nelle diocesi per confessare e perdonare le donne che hanno abortito e il personale medico che ha consentito tale crimine.
Sulla scia di questa notizia, è di grande attualità la storia del dottor Antonio Oriente, 61 anni, un ex ginecologo abortista che, convertito, si è poi totalmente messo a servizio della vita. Dirigente medico ginecologo di un consultorio dell’Azienda sanitaria provinciale di Messina, per tanti anni ha però vissuto la sua quotidianità praticando aborti di routine.
Cosa pensa della “buona novella” di papa Francesco?
«La scelta di papa Francesco ci ricorda il passo del Vangelo di Luca dove Gesù dice ai discepoli: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati”. Gli effetti, che a mio avviso si vedranno in seguito, della scelta del Papa non potranno che essere positivi e far crescere le persone (medici, donne, ecc.) nella consapevolezza di essere perdonati e di dover, quindi, in seguito perdonare e non giudicare».
Lei ha vissuto sulla sua pelle tutto questo. Che cosa ha provato nel ricevere il perdono anche per gli aborti che aveva procurato nella sua carriera?
«Quando ho avuto la certezza, grazie al mio vescovo, di essere stato perdonato e non giudicato, ho ricevuto un nuovo impulso nel mio atteggiamento professionale».
Che cosa è cambiato per lei?
«Ho capito che le donne che avevano abortito, i sofferenti in genere, non erano solo dei corpi da curare, ma persone di cui prendersi cura. È iniziato così, per me, un nuovo modo di essere cristiano e medico, a servizio di Dio e dei fratelli».
Se potesse dire qualcosa al Papa…
«Gli direi: grazie di questa scelta che libererà tante donne e medici dalle catene che li tengono legati a un passato di sofferenza! A noi ora il compito di seguire gli insegnamenti di Gesù e il Magistero della Chiesa. Perché si possa dire ai fratelli e alle sorelle: “Non temere, Dio ti ha perdonato, anche noi ti perdoniamo, va’ e non peccare più”».
Dottor Oriente, possiamo ricapitolare per i lettori di Credere la sua storia singolare? Lei collaborava con un Centro per la diagnosi e cura dell’infertilità e faceva nascere molti bambini. Eppure con le stesse mani, uccideva tanti feti. Quando e perché la sua carriera ha radicalmente cambiato direzione?
«Vede, mia moglie, pediatra, adorava e curava i bambini, ma non riuscivamo ad avere figli nostri, e lei ne soffriva terribilmente. Una sera come tante (nei primi mesi del 1986), mi ero chiuso nel mio studio, la testa fra le mani, a domandarmi a cosa servisse avere lauree, specializzazioni, una carriera affermata, la stima della gente, se poi tornando a casa non ero in grado di regalare un sorriso a mia moglie. Improvvisamente, due persone che seguivo da tempo per infertilità, vedendo le luci accese nello studio, temettero un mio malore e, precipitatesi nello studio, mi trovarono in lacrime. Dinanzi a loro, trovai il coraggio di confidarmi».
Cosa le dissero?
«“Dottore, noi non abbiamo una soluzione al suo problema. Possiamo però presentarle una persona speciale che può dare un senso a quanto sta vivendo: Gesù Cristo”. Erano fratelli che si avvicinavano timidamente a un cammino di conversione grazie ad un movimento ecclesiale, il Rinnovamento nello Spirito, al quale anch’io, dapprima incredulo ma incuriosito, mi avvicinai a piccoli passi. Una sera in chiesa mi trovai a riflettere: “Come posso io chiedere un figlio al Signore, quando uccido quelli degli altri?”. Preso da un improvviso fervore, tornai a casa e scrissi su un foglietto di carta: “Mai più morte, fino alla morte”. E da allora cominciai a vivere in modo diverso il mio essere uomo e medico».
E poi, che accadde?
«Dopo questa scelta, un giorno tornando a casa – era il mese di maggio dello stesso anno – trovai mia moglie Maria Carmela che stava vomitando. Pensai a un malessere passeggero, ma nei giorni seguenti la situazione non migliorava. E, fatto un esame di sangue, si scoprì il perché: era in attesa di un bambino! Dopo 8 mesi nacque Domenico e, in seguito, arrivò Luigi».
Possiamo solo immaginare la gioia sua e di sua moglie…
«Dapprima, l’incredulità, quindi la ricerca spasmodica del cosa poteva essere successo scientificamente e, successivamente, non trovando una motivazione plausibile, la convinzione che nella mia storia personale e familiare era intervenuto con veemenza Gesù. Desideroso allora di una completa rinascita interiore, decisi di tagliare nettamente i ponti col passato e qualificare sempre più la mia vita umana e professionale. Continuava, però, a permanere un collegamento col passato (i ferri chirurgici con i quali avevo ucciso tanti bambini; decisi allora di separarmene consegnandoli al Papa. Questo è stato per tanti anni impossibile; avevo tentato con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI ma senza risultato. L’opportunità mi è stata data il 20 settembre 2013, durante l’udienza di Francesco con i medici cattolici della Mater Care International. Papa Bergoglio, in quell’occasione che oserei definire miracolosa, mi accolse, pose le mani sul mio capo, mi benedì e mi confermò nel mandato di evangelizzazione pro-vita; mi promise anche che avrebbe pregato su quei “ferri”».
Perdonato di un dolore che le lacerava l’anima, lei è diventato inarrestabile. Oggi come vive questa “vocazione alla vita”?
«Raggiungo ogni luogo dove sono invitato, in Italia e all’estero, per combattere la cultura dello scarto, per spiegare scientificamente cos’è “realmente” l’aborto indotto, per dire che non c’è problema economico, familiare o di relazione che non si possa affrontare e per far comprendere, come ha detto lo stesso papa Francesco, che “non esiste una vita umana più sacra di un’altra, ogni vita umana è sacra!”».