Il “principio di realtà”. Il documento pone innanzitutto una questione di metodo: è necessario aderire al “principio di realtà”, vale a dire partire dalla descrizione del vissuto della famiglia quale si vede nella Chiesa e nella realtà di oggi. Solo così “la morale cattolica è compresa come un insieme di criteri che si adattano alle diverse situazioni umane” anziché “a partire da norme inflessibili o immutabili”. In questo modo si avrà “uno spirito di accoglienza che permette il progresso della fede” e “atteggiamenti evangelici, piuttosto che ricette omogenee e universali”. Per coerenza a questo principio, le risposte del Lussemburgo ripartono da un’analisi delle trasformazioni storiche, sociologiche e antropologiche che hanno segnato, secondo il documento, la famiglia nell’ultimo secolo, per arrivare a dire che oggi le persone non cercano “di fondare una famiglia ma di trovare la felicità in una relazione d’amore”.
“Non giudichiamo”. Si deve perciò realizzare “una transizione dalla pastorale delle famiglie a una pastorale dell’amore”, in cui la Chiesa “accompagna le persone nel loro progetto d’amore”, anche quando questo si sbriciola. Compito della Chiesa è “superare le risposte pastorali facili, fissate sull’annuncio di un ideale proposto dalla dottrina cattolica e sulla denuncia di situazioni che non sono conformi a questo ideale”. Lo impongono il “principio della misericordia” posto da Papa Francesco, oltre che i cambiamenti che “nella cultura lussemburghese rendono totalmente incomprensibile il discorso attuale della Chiesa”. Prova ne sia che “pochi sono i cattolici che accettano che i divorziati siano esclusi dall’eucarestia” e che “i ministri del culto non giudicano più una persona a partire dal fatto che il suo matrimonio è fallito”. Allora si andrà nel senso di “una pastorale della famiglia più evangelica, che incoraggia le coppie cristiane” e che “ricorre alla Parola di Dio secondo lo stile di Gesù”: “ricordare all’uomo e alla donna la loro vocazione di infinito”. Da evitare “una presenza delle Scritture troppo sovente ridotta al richiamo di testi letti in modo ristretto e legalista” per “giustificare una dottrina”. Così la catechesi per le coppie e le famiglie non sarà più un percorso per “trasmettere gli insegnamenti della Chiesa”, ma autenticamente “spazio della scoperta del Cristo e del Vangelo”.
Magistero e popolo di Dio. “La misericordia di Dio non esclude nessuno”, mentre il rischio è che “la Chiesa escluda, nei fatti e nonostante tutto ciò che può dire”. L’esempio rimanda a una differenza che la Chiesa pone tra le persone sposate e i consacrati e all’“atteggiamento ingiusto” nei confronti dei divorziati: infatti, ai sacerdoti che abbandonano il sacerdozio “che è pur esso un sacramento”, si “permette un secondo progetto di vita e l’accesso ai sacramenti”, cosa vietata ai divorziati. L’invito è a “rinunciare a quest’atteggiamento” e “rivedere la teologia del matrimonio nella prospettiva della misericordia evangelica”. Da rivedere sarebbe anche l’insegnamento sulla sessualità umana e i metodi di controllo della natalità, ambiti in cui “il magistero non è recepito dal popolo di Dio” e che “fa più male che bene all’azione pastorale della Chiesa verso le coppie”. “Humanae Vitae”, si spinge ad affermare il testo lussemburghese, è da superare nella chiave del Concilio.
Chiesa come “luogo fraterno”. In questa prospettiva, la comunità cristiana diventerà, secondo i cattolici del Paese nord europeo, il luogo della testimonianza e della scoperta del Vangelo e non sarà più “dispensatrice di servizi”, un “luogo fraterno”, dove coloro che si sono scoperti discepoli del Cristo cresceranno accompagnati, “le coppie scopriranno la vocazione specifica alla vita coniugale”, mentre i giovani che si preparano al sacerdozio potranno avere “relazioni sane con le donne, coppie e famiglie” per una “formazione equilibrata”, in cui si auspica siano “implicate anche coppie sposate”.