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Il musulmano che in Libia<br>ha «follemente» scelto di morire assieme ai suoi amici cristiani di Etiopia
NEWS 27 Aprile 2015    

Il musulmano che in Libia
ha «follemente» scelto di morire assieme ai suoi amici cristiani di Etiopia

di Giorgio Bernardelli

 

Un nuovo fotogramma terribile del terrore jihadista. Che abbiamo fatto fatica a ricollegare all'altra notizia drammatica di queste ore, il dramma dei migranti affogati nel Mediterraneo (anche se le persone sarebbero potute tranquillamente essere le stesse). Nel nostro flusso di informazione malata, dove le parole hanno sempre la meglio sulle storie, sono già scivolati via dai riflettori gli etiopi uccisi in Libia dallo Stato Islamico e mostrati in un nuovo terribile video di Al Furqan, la macchina della propaganda del sedicente califfato.

In questi giorni – però – sono arrivate una serie di notizie importanti su queste nuove vittime della follia jihadista. Ad esempio che non erano solo etiopi; tra loro c'erano anche degli eritrei. Ma soprattutto un po' alla volta tutti i volti vengono associati a un nome e a una storia. E così è venuta fuori anche un fatto del tutto inaspettato: tra i 28 che nel video vengono presentati come «cristiani etiopi» in realtà c'era anche un musulmano. Si chiamava Jamaal Rahman ed era anche lui un migrante proveniente dall'Etiopia. Solo che la sua è una famiglia islamica.

A confermare la notizia è stata una fonte del tutto insospettabile: un miliziano degli al Shabab, i fondamentalisti islamici della Somalia. Che – come riferisce un quotidiano on line del Somaliland – ha spiegato la «stranezza» sostenendo che «si era convertito al cristianesimo durante il viaggio». C'è però anche un'altra versione, molto più verosimile, raccolta sempre in ambienti jihadisti: il musulmano Jamaal «follemente» si sarebbe offerto come volontario ai jihadisti come ostaggio, per solidarietà con l'amico cristiano con cui stava compiendo il viaggio. Forse pensava che la presenza di un musulmano nel gruppo avrebbe per lo meno salvato la vita alle altre persone. Ma così non è stato: è stato ucciso anche lui, trattato come un apostata.

Sembra proprio un'altra storia di un «Giusto dell'islam» che ha scelto di opporsi a viso aperto all'Isis, ben sapendo quello che rischiava. La stessa scelta compiuta quest'estate a Mosul da Mahmoud Al 'Asali, il docente musulmano dell'Università che si era schierato pubblicamente contro la persecuzione nei confronti dei cristiani della città. Gesto che anche lui ha pagato con la vita. Jamaal, Mahmoud – e probabilmente tanti altri di cui non sappiamo nulla – sono la voce della coscienza dell'islam. Una voce che andrebbe fatta conoscere e che invece guardiamo sempre in maniera distratta. Salvo poi lamentarci perché i musulmani non reagiscono a follie come quelle dello Stato Islamico.

Hanno commesso un grosso errore questa volta gli strateghi della comunicazione jihadista: sono stati loro stessi a diffondere l'immagine di un volto diverso dell'islam; il volto di un musulmano che – alla violenza e all'intolleranza – ha contrapposto un'amicizia capace di arrivare a condividere persino il martirio di un gruppo di cristiani. Avremo occhi – almeno questa volta – per vederlo? O scorrerà via, affogato dalle nostre parole?