di Renato Farina
Finalmente. Adesso qualcun altro si accorge che l'Europa rinnega se stessa, scolora il suo sangue, cancellando la croce. Il Continente dei lumi, quello nato contro l'oscurantismo medievale, ha paura a dire il nome delle cose, spegne la luce. Davanti alla persecuzione dei cristiani quando timidamente – ed è già un miracolo – scrive denunce e versa lacrime trascura due particolari: l'essenza intima delle vittime e il dichiarato movente dei carnefici.
Sarebbe come piangere Giovanni Falcone tacendo il suo essere stato procuratore antimafia, e nascondendo le responsabilità di Cosa nostra. Vorrebbe dire tradirlo. O no? Invece coi cristiani da noi si fa. Quando i fratelli Kouachi e Coulibaly hanno operato le stragi di Parigi si è individuato il bersaglio nella matita. Matite spezzate, corteo immenso. Noi lo scrivemmo subito: «Je suis Charlie, ma anche Asia Bibi», dal nome della cristiana che aspetta in Pakistan di essere impiccata nel silenzio assoluto dell'Europa e degli statisti in corteo a Parigi. Oggi non si vedono in giro vignette con croci spezzate, persino le poche e lodevoli operazioni di solidarietà nascono con una censura interiore, in fondo blasfema. Si osservano le stragi, ma prima che il gallo canti per prudenza si nega di essere anche noi della Galilea dei crocefissi.
Perché è accaduto questo? Molto semplice: l'Europa in generale, e l'Italia al suo seguito, hanno rinunciato a un'idea di se stesse come qualcosa di positivo, di rilevante, di buono. Non si sentono figlie del Dio delle Cattedrali e dei campanili e delle campane. Ne scrisse Pascoli: «…nel vespro tinnule campane empiono l'aria quasi di sonore grida lontane». L'ha ridetto Oriana Fallaci: «La prima musica che ho udito venendo al mondo è stata la musica delle campane». Sono echi della memoria e sono la cifra della nostra anima, persino quando si è atei.
Il rinnegamento continua. John Weiler, il maggior studioso di costituzioni, americano ebreo praticante, ha definito l'Europa malata di «cristofobia». Non sopporta di ricordare di essere figlia del cristianesimo. Non solo del cristianesimo come civiltà, ma proprio della persona del Nazareno. Robert Scruton, un filosofo inglese, ha individuato un'altra sindrome: «oicofobia», orrore della propria casa. Ora si discute molto sulla necessità di gettare ponti tra l'Occidente e l'islam, almeno quello moderato (io non credo esista, ma facciamo che ci sia) per recuperare una comprensione reciproca e tagliare le unghie al fondamentalismo jihadista del Califfo. Vasto programma. Anche interessante. Il fatto è che per costruire un ponte occorre avere una sponda da cui gettare le arcate. E la sponda occidentale non esiste, è il vuoto cosmico, sono sabbie mobili di sensi di colpa e incertezza assoluta sul bene e sul male. Siamo occupati a parlare di eutanasia e se a spese della mutua, mentre quegli altri, dall'altra sponda, sono prontissimi a farci il servizio gratis, magari non in modo indolore, ma il risultato sarebbe lo stesso.
«Oicofobia», odio per la nostra casa. L'identità europea ormai è questa: essere l'identità degli altri. La cultura ufficiale, che si esprime nei documenti del Parlamento europeo e delle Corti europee, negli editoriali dei quotidiani «autorevoli» delle capitali e nelle librerie, impone di essere rispettosi di etnie, culture, religioni differenti, condanna islamofobia e razzismi, ma rinuncia a tutelare la propria dimora. Una casa c'è, una casa si cura, l'ambiente è caldo se le mura e il benessere sono sostenuti da qualcosa di invisibile: sono gli affetti. I quali hanno una storia, dei luoghi di memoria, una serie di riti così noiosi eppure essenziali. Invece tutto questo viene vissuto sì dalla gente comune, ma è nascosto vergognosamente dalle élites culturali e politiche dominanti. La conseguenza è l'esplosione del sentimento uguale e contrario di ribellione, per puro istinto di sopravvivenza.
Il vero estremismo originario è quello dei negazionisti. Negano le radici cristiane, io preferisco chiamarle sorgenti, ma è lo stesso: e siccome non esistono, come si fa a dire che hanno un nemico? Non me lo sto inventando. È ufficiale. Stiamo subendo due dittature in Europa: quella economica della Germania e insieme quella culturale del negazionismo progressista.
È stato messo fuori legge il negazionismo di chi minimizza i forni crematori e l'Olocausto ebraico (per fortuna), in compenso non si riesce a far passare in Commissione cultura della Camera dei deputati, per l'opposizione omertosa del governo e del Pd, una risoluzione dove si propone che sia ricordato nelle scuole il centenario del genocidio degli armeni, un milione e mezzo di vittime, condotte a morire di fame e di sete dagli ottomani. Per forza: gli armeni furono straziati in quanto cristiani e l'impero del Sultano era islamico. Bisogna tacere. Nessun esponente del governo ha partecipato all'inaugurazione della mostra al Vittoriano dedicata a questo popolo straziato, siccome si ha paura della reazione della Turchia. Che tipo di ritorsione si teme? Oltre che essere il porto franco del Califfato, il luogo privilegiato del passaggio di truppe e del contrabbando di petrolio, cosa potrebbe fare di più? È questa debolezza orribile che frega l'Europa e l'Italia. E che spinge la gente comune, dinanzi a questa passività, a prendere in mano la questione islamica in modo rude ma chiaro. È una reazione talvolta estremista a un estremismo della negazione.
Dico sciocchezze? Ma Rusconi e gli altri intellettuali delle radici cristiane scoperte all'ultima ora sanno che esiste un documento ufficiale della Commissione europea (il nostro legittimo governo di Bruxelles, quello che ci rompe le scatole sul tre per cento) che considera fuori legge l'espressione «terrorismo islamico» o «terrorismo di matrice islamica» nei documenti ufficiali? Ne ha accennato in una sua rubrica Piero Ostellino al tempo del Corriere fella Sera , e non ha avuto repliche né echi. Gijs de Vries, delegato anti-terrorismo della Commissione europea al tempo della presidenza di Romano Prodi, ha invitato i governi dell'Unione a usare l'espressione «terrorismo che invoca abusivamente il nome dell'Islam», e a cancellare l'uso dei termini «jihad», «islamista» e «fondamentalista islamico».
Il testo citato da Rusconi che convoca le università alla manifestazione di solidarietà per l'eccidio si attiene scrupolosamente a questo diktat morale. Finalmente qualcuno protesta, si ribella. Purché non sia troppo tardi.