di Benedetta Frigerio
Vi abbiamo già parlato di Lee Jong-Rak, il pastore protestante di Seul che nel 2009 ha installato una “baby box” (una specie di culla di metallo) davanti alla sua comunità di accoglienza. Così, dal 1998 ha raccolto decine di bambini abbandonati, molti dei quali disabili. La sua storia ha fatto il giro del mondo ma sarebbe rimasta negli archivi dei quotidiani se Brian Ivie, allora studente di cinematografia all’Università della Sud California, se la fosse dimenticata. Invece il regista alle prime armi, terminati gli studi, decise di andare in Corea dopo aver raccolto i fondi necessari per girare “Drop Box” (cassetta delle donazioni), un documentario sull’opera di carità “Comunità dell’amore di Dio” fondata dal pastore sudcoreano, che la guida insieme a sua moglie e conta ormai circa 300 volontari.
«BAMBINI BUTTATI VIA». Presente all’anteprima del film, che uscirà nelle sale americane all’inizio di marzo, Lee ha spiegato ai giornalisti come l’opera di carità, che ospita venti bambini consegnandone centinaia alle autorità per l’adozione, sia sorta grazie a suo figlio, nato gravemente disabile. Attraverso quel figlio deformato e bisognoso di assistenze continue, ha spiegato al Christian Post, «riuscii a vedere la sofferenza degli altri». Tutto cominciò con una domanda rivolta a Dio: «Perché mi hai dato un figlio handicappato?», a cui il Signore rispose mostrandogli la grandezza della vita attraverso quella debolezza. «Quando la culla fu installata, pensavo che non sarebbe arrivato nessun bambino», continua, e invece «Dio mi ha permesso di vedere quanto [quei bambini] siano preziosi ai suoi occhi», anche se vengono «buttati via, abbandonati».
«DIO HA PIANIFICATO TUTTO». In Sud Corea, infatti, i neonati lasciati alla strada sono centinaia ogni anno e i numeri sono in crescita per via di una legge sulle adozioni che obbliga le madri a registrare i figli indesiderati. Così suona in continuazione la campana del reverendo Lee, che rimbomba quando un bambino viene depositato nella “baby box” e il pastore si precipita a raccogliere il nuovo arrivato, spesso lasciato nudo in un sacchetto. Ogni volta «è come una guerra… una guerra in cielo», dice una delle figlie del pastore. Perché se «Dio li manda qui è per una ragione. (…) Abbiamo venti bambini in un piccolo spazio, ma non è come un orfanotrofio, qui hanno una mamma e un papà», continua Lee. La voce si è sparsa e così il pastore riceve anche chiamate disperate: «Una volta – spiega l’uomo nel documentario – una donna mi disse che voleva avvelenarsi con il figlio. “No, le dissi, vieni qui con lui”». Ma a chi si complimenta con il pastore e lo dipinge come un uomo fuori dal comune lui risponde che «non è qualcosa che ho pianificato, non è qualcosa che ho fatto perché sono una grande persona, è davvero Dio che ha pianificato tutto e mi ha condotto qui».
SIGARETTE E FOX NEWS. Durante le riprese, anche il regista Brian Ivie è cambiato: «Non fumavo sigarette e guardavo Fox News con mia madre, pensando così di essere cristiano». Invece «avevo bisogno di vedere il mio peccato, ma soprattutto l’amore di Dio che mi voleva lì. È questo quello che mi ha mostrato il pastore: l’amore del Padre». Lee, dopo averlo visto, ha fatto una promessa: «Dio, morirò per questi bambini», perché «tra la fede, la speranza e la carità, la più grande virtù è la carità».