Alice ha 50 anni, svolge una professione che le dà piena soddisfazione (è professoressa di Linguistica presso la Columbia University) e vive in una famiglia a cui dà e riceve molto affetto (è sposata con tre figli ormai grandi). Dopo alcune analisi le viene diagnosticato il morbo di Alzheimer. I suoi familiari la colmano di attenzioni ma Alice ha davanti a se un lungo cammino in discesa: dovrà abbandonare la sua professione e alla fine non sarà più in grado di riconoscere chi le sta davanti…
È un film Still Alice, in programmazione ora, per la regia di Richard Glatzer e interpretato da Julianne Moore e da Alec Baldwin. Il film è quel che è, ma, davanti allo sconforto inevitabile, così come l’eutanasia viene presa in considerazione, l’idea dell’eutanasia viene pure abbandonata. Certo. Non ci sono momenti eclatanti di scelta precisa. Nelle due occasioni in cui si tocca il tema, la vita prevale per semplice abbandono del campo dell’idea della morte: Alice registra sul computer un promemoria per se stessa indicando dove ha nascosto in casa certe pillole letali, ma poi la cosa cade perché la sua incapacità cronica le impedirà, mesi dopo, di seguire quelle semplici istruzioni; e il marito, in un momento in cui si trova da solo con Alice, le chiede se si è stancata di quella vita, ma Alice non capisce e il marito non insiste. Fatto sta che la vita prevale. Che il suicidio non c’è. Che la regia non insiste nemmeno più di tanto sul tema. Che alla fine l’eutanasia è un non-argomento del film. Sì, un film timido, ma sicuramente poteva andare peggio. E poi magari quella che sembra timidezza è solo delicatezza di fronte a un tema terribile troppo spesso affrontato maldestramente.
Del resto, vale la pena di ricordare che, in pochi giorni, è il secondo film non-eutanasico che Hollywood sforna. Il primo è La teoria del tutto, ispirato alla vita vera del celebre fisico inglese, ateo e gravemente malato, Stephen Hawking, un film in cui il tema vero è la lotta per la vita e il bello è che la vita vince.