Umberto Veronesi definisce con disprezzo queste persone dei «penosi morti viventi», ma in questa condizione di coma era anche Eluana Englaro, uccisa il 9 febbraio 2009 dopo diciassette anni di stato vegetativo. Napolitano si rifiutò di firmare un disegno di legge che il Consiglio dei ministri aveva approvato velocemente per fermare la macchina giudiziaria e tentare di salvare la vita ad Eluana, obbligando l’assistenza attraverso alimentazione e idratazione per soggetti non autosufficienti. Proprio l’anno scorso il Consiglio Europeo si è espresso affermando che idratazione e alimentazione non possono essere considerati una terapia (e dunque dovrebbero essere «sempre assicurati»).
Sul “caso Eluana” abbiamo già ricostruito i fatti e le enormi bugie dette dai media per giustificare la morte di questa donna. Il noto filosofo Adriano Pessina ha detto: «A mio avviso si è trattato di una forma di abbandono assistenziale. Se, come dice il rianimatore, Eluana è morta 17 anni fa, perché non è stata seppellita allora? La verità è che non era un cadavere, perché non basta il venir meno della coscienza e delle relazioni con gli altri per essere dichiarati morti e sospendere le cure proporzionate alla condizione del paziente». Addirittura venticinque tra i massimi neurologi italiani scrissero un appello contro la «condanna a morte» di Eluana, ritenendo «disumano il modo proposto di mettere a morte la paziente: l’agonia sarà lenta e porterà alla morte attraverso la lenta devastazione di tutto l’organismo».
I fatti sono stati ben ricordati da Rosaria Elefante, presidente dell’Associazione nazionale biogiuristi italiani, consulente giuridico dell’European Task Force che raccoglie i massimi specialisti in stato vegetativo: Eluana è morta in seguito ad un «decreto della Corte d’Appello di Milano del luglio 2008, quello che ha autorizzato Englaro a togliere nutrizione e idratazione a Eluana, e che ha completamente disatteso le richieste della Cassazione che autorizzava i giudici di Milano a disattivare il sondino solo in presenza di due presupposti»: il primo era la rilevazione scientifica che lo stato vegetativo fosse irreversibile e impossibile da raggiungere il recupero e, il secondo, che la volontà di morire di Eluana fosse ricostruita attraverso elementi di prova chiari e univoci. Tuttavia «i giudici non hanno eseguito quanto dovevano. Nell’acclarare il suo stato di salute, la Corte d’Appello di Milano non ha nominato un medico, anzi, ha preso come proprio specialista il medico di parte di Englaro, dottor Defanti, cosa che non si fa nemmeno per un banale incidente d’auto, figuriamoci per decidere della vita di una persona. Addirittura si è affidata alla certificazione di stato vegetativo stilata da Defanti nel 2002 e l’ha considerata “passata in giudicato”, quindi “inappellabile”. Non solo: anziché rifarsi agli standard scientifici internazionali, i giudici milanesi hanno citato la letteratura medica ferma al 1994: in medicina e soprattutto nelle conoscenze sugli stati vegetativi è preistoria».
Ma anche per la seconda condizione ci sono state gravi inadempienze: nonostante furono raccolte decine di testimonianze «che raccontavano un’Eluana diversa da quella descritta da Englaro, nessuna di esse fu presa in considerazione dai giudici. Allora ho fatto un esposto alla Procura di Milano, ricordando che la volontà di Eluana non era stata affatto ricostruita, e che nessuno specialista era stato chiamato ad appurare se in lei ci fosse “un qualche sia pur flebile recupero della coscienza” nonostante ormai esistessero tecniche incontrovertibili come la Risonanza magnetica funzionale, che avrebbe tagliato la testa al toro. Per 4 anni io ho visitato Eluana e, avendo seguito per 15 anni i casi di stato vegetativo, assicuro che lei aveva una sua coscienza». Addirittura uno stretto amico di Beppino Englaro, Pietro Crisafulli (fratello di un ragazzo in stato vegetativo, Salvatore, che si è poi risvegliato), anche lui favorevole all’eutanasia, ha rivelato: «Englaro si confidò a tal punto da confessarmi, in presenza di altre persone, che ‘non era vero niente che sua figlia avrebbe detto che, nel caso si fosse ridotta un vegetale, avrebbe voluto morire’. In effetti, Beppino, nella sua lunga confessione mi disse che alla fine, si era inventato tutto perché non ce la faceva più a vederla ridotta in quelle condizioni». Crisafulli non è stato mai smentito (tanto meno querelato).
Insomma, un caso che certamente peserà sulla presidenza di Napolitano, così come tornerà sempre alla mente quando si penserà a lui. Tuttavia è anche una persona di estrazione comunista convinto di una laicità giusta, positiva, tanto che ha riconosciuto sempre ai cattolici il contributo verso la «maturazione di valori, quali quelli della mutualità, solidarietà e convivenza pacifica, che trovano oggi consacrazione nella nostra Carta costituzionale». Molto bello il rapporto che crebbe con Benedetto XVI, lo stesso Napolitano disse nel 2012: «Non esito a confessare che una delle componenti più belle che hanno caratterizzato la mia esperienza è stato proprio il rapporto con Benedetto XVI. Abbiamo scoperto insieme una grande affinità, abbiamo vissuto un sentimento di grande e reciproco rispetto. Ma c’è di più, qualcosa che ha toccato le nostre corde umane. E io per questo gli sono molto grato […]. Un rapporto di schietta amicizia, con tutta la deferenza che io ho per lui e per il suo altissimo ministero, per la sua altissima missione».
Ritornando a Martin Pistorius, svegliatosi dopo 12 anni di stato vegetativo, ci piacerebbe che Napolitano leggesse il suo libro, “Ghost boy”. In esso ha raccontato che nel 2001, dopo che i medici si sono accorti che reagiva agli odori, in poco tempo ha ripreso a parlare, a leggere, scrivere e comunicare, ha trovato lavoro e nel 2009 si è sposato. E scrive: «Ricordo perfettamente di essermi reso conto dell’elezione di Mandela a presidente del Sudafrica e della morte di Lady Diana, ma non riuscivo a comunicare con gli altri. Mi sentivo prigioniero del mio stesso corpo, come fosse però un corpo estraneo in calcestruzzo. All’inizio non ero consapevole di nulla, solo dopo circa due anni mi sono risvegliato e mi ho cominciato ad essere cosciente di ogni cosa che mi veniva fatta o detta. La mia paura era che dovessi passare così il resto della mia vita, completamente solo, spaventato dal fatto che nessuno potesse più mostrarmi tenerezza e amore». Anche Eluana avrebbe potuto essere stata cosciente della condanna a morte che le è stata inflitta dalla macchina giudiziaria e, forse, se avesse ricevuto le giuste attenzione e non fosse stata scartata, avrebbe potuto essere stata qui a raccontarlo. Anche lei.