di Andrea Galli
Amato da studiosi laicissimi, venerato da linguisti e appassionati della materia, purtroppo dimenticato nel suo mondo cattolico: un curioso destino quello del cardinale Mezzofanti, il più grande poliglotta di sempre.
Nato a Bologna nel 1774 da genitori di umili origini, Giuseppe Mezzofanti dimostra fin da piccolo una memoria prodigiosa, un raro orecchio musicale e una capacità di apprendimento delle lingue che resta a tutt’oggi un enigma. Frequentando le Scuole Pie della città emiliana entra in contatto con parecchi missionari gesuiti ospiti dello Stato Pontificio dopo la soppressione dell’ordine. Dialoga con loro e assorbe rapidamente, a mo’ di spugna, lo svedese, il tedesco, lo spagnolo e vari dialetti sudamericani, oltre alle lingue morte che macina sui banchi di scuola. Entrato in seminario, termina gli studi di filosofia e teologia ben prima dell’età minima per l’ordinazione. Nel frattempo si dedica allo studio delle lingue orientali.
Nel 1797, a 23 anni, gli viene assegnata la cattedra di ebraico all’università di Bologna e viene ordinato sacerdote. Assiste negli ospedali i feriti stranieri degli scontri con l’esercito napoleonico, tra il 1799 e il 1800, captando vari idiomi europei, e diventa ovviamente il confessore dei turisti e viaggiatori che passano in città.
Le sue doti iniziano a farsi notare. Lord Byron, il poeta inglese, che incrocia Mezzofanti a Bologna, scrive di aver conosciuto "un mostro delle lingue… che avrebbe dovuto esistere al tempo della torre di Babele come interprete universale". August Wilhelm Kephalides, professore all’università di Breslavia, nel resoconto del suo viaggio in Italia descrive l’incontro con un fenomenale poliglotta in talare che entusiasma gli intellettuali bolognesi e "parla perfettamente il tedesco senza aver mai messo piede fuori dall’Italia". Anche Matteo Pisani, interprete dell’ambasciata russa in Italia e tra i maggiori conoscitori di lingue slave e orientali del tempo, visita Mezzofanti per verificare se la sua fama sia o no meritata, restandone sbalordito.
Descritto come un uomo mite, senza particolari ambizioni se non quella di dedicarsi alla cure della anime, alla docenza universitaria e allo studio quotidiano delle lingue, fino a notte fonda, Mezzofanti nel 1806 rifiuta l’invito di Napoleone a stabilirsi a Parigi (dopo avere per altro rifiutato di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica Cisalpina) e nel 1814 dice di no pure all’invito che gli arriva da papa Pio VII. Cede solo nel 1831 a Gregorio XVI, che diventa suo amico e protettore, il quale gli chiede di mettere le sue capacità al servizio della Congregazione per la Propaganda della Fede.
Il contatto con l’ambiente cosmopolita dell’Urbe, tra missionari e dotti provenienti da ogni angolo della cattolicità, permette a Mezzofanti (che riceve nel mentre la berretta cardinalizia) di apprendere altri e numerosi idiomi con la consueta agilità. Solo il cinese gli dà filo da torcere: è costretto a spendere quattro mesi di studio prima di sentirsi soddisfatto del risultato. Da quel momento padre Umpierres, già missionario a Macao e insegnante di lingua presso Propaganda Fide, converserà con lui in cinese, confermando "ufficialmente" la sua padronanza del mandarino.
Anche padre Charles William Russell, studioso irlandese e amico di John Henry Newman, frequenta il Cardinale prodigio, rimanendo impressionato dalla sua capacità di esprimersi con finezza e senza errori in gaelico, inglese e nei principali dialetti della Gran Bretagna. Dopo la morte di Mezzofanti, avvenuta nel 1849, Russell scrive la sua migliore biografia raccogliendo documenti e testimonianze dirette. Secondo il suo conto, Mezzofanti fu in grado di scrivere e parlare pressoché perfettamente 38 lingue. Tra queste: ebraico, arabo, neo-aramaico-caldeo, copto, armeno antico e moderno, persiano, turco, albanese, maltese, greco antico e moderno, latino, italiano, spagnolo, portoghese, francese, tedesco, svedese, inglese, russo, polacco, ceco, ungherese, cinese, siriaco, ge’ez, amarico, hindi, gujarati, basco e romeno. Possedeva con minor sicurezza un’altra quarantina di lingue – oltre a un numero imprecisato di dialetti – per un totale di 78 idiomi. Tra i suoi rimpianti figuravano però il sanscrito, il malese, il tibetano, l’islandese, il lappone, il ruteno, il frisone, il lettone, il cornico, il quechua e il bambara: era in grado solo di leggerli, non di parlarli.