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Dietro il Big Bang, l’Essere. Perchè con il vuoto non si riempiono neppure i vasi di marmellata
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9 Ottobre 2014

Dietro il Big Bang, l’Essere. Perchè con il vuoto non si riempiono neppure i vasi di marmellata

di Francesco Agnoli
 
Il modello più accreditato riguardo al Big Bang postula una singolarità iniziale. La sua origine dipenderebbe dunque “da un momento inaccessibile, dal quale non è possibile estrarre alcuna informazione che permetta di imbastire una storia razionale e completa del mondo”. Così il cosmologo Màrio Novello in un libro intitolato “Qualcosa anziché il nulla”. Novello sostiene che “se l’universo ha avuto un’origine singolare distante da noi un intervallo finito di tempo, possiamo trarre la conclusione che non esiste la possibilità di una storia razionale e completa che parta dall’inizio”. Vi sono “condizioni iniziali inaccessibili”? Per Novello questo non è, a priori, possibile: occorre ipotizzare “un universo eterno, senza singolarità, creato spontaneamente dall’instabilità di un remoto stato di vuoto, che ha sperimentato una fase di collasso fino a raggiungere il suo volume minimo e iniziato il processo di espansione che viviamo oggi”. La conseguenza sarebbe che “alla domanda centrale della metafisica”, “perché esiste qualcosa anziché il nulla”, potremmo rispondere che la cosmologia avrà la risposta perché “l’universo era condannato ad esistere”, ed “è molto difficile, è quasi impossibile non esistere”.

L’argomento è interessante: da subito il Big Bang, respinto in origine da molti per il suo “odore” creazionista (fu teorizzato da un prete cattolico), è al centro di un dibattito sia scientifico che filosofico. La domanda è: l’Universo ha un’ origine precisa in un istante zero di tempo (ciò richiederebbe una Causa divina), oppure è eterno (il che sarebbe più compatibile, a prima vista, con una visione atea, senza però escluderne una creazionista).

L’argomentazione di Novello è filosoficamente confusa.

Vediamo il primo punto: la domanda centrale della metafisica non è affatto “perché esiste qualcosa e non il nulla”. Dal momento che già i presocratici danno per certo che una realtà fisica esista, la loro domanda è un’altra: qual’è il principio unitario di questa realtà? Con Parmenide e Melisso la domanda si precisa: poiché l’Essere esiste, e il nulla non esiste, quali sono gli attributi dell’Essere? Parmenide rende chiaro che l’Essere deve esistere, e che esso può identificarsi o con un Universo esso stesso divino, eterno, incausato, o con la Causa eterna di un universo che invece è diveniente e non necessario. La conclusione di Novello, che il mondo era “condannato ad esistere, semplicemente perchè… è quasi impossibile non esistere”, è forse una battuta, ma non un pensiero con dignità filosofica. Qualcosa deve esistere, non per un’alta probabilità, ma per necessità: perché il nulla non è. La domanda è un’ altra: qual’è l’Essere in se subsistens, esistente per se stesso?

La risposta di Novello è a priori: l’Universo. Di qui la conclusione, illogica, secondo cui una singolarità iniziale, essendo inaccessibile alla scienza sperimentale, sarebbe “irrazionale”. Irrazionale è, al contrario, il presupposto per cui la nostra ragione dovrebbe essere in grado di afferrare scientificamente la totalità e il senso dell’Essere necessario. Il quale sarebbe, se così fosse, più piccolo dell’essere non necessario, l’uomo, che cerca di attingerlo. Del resto, anche se la singolarità iniziale fosse per noi intelleggibile, resterebbe inevasa la domanda: donde la sua intelleggibililità, ed un soggetto che sappia leggerla?

A ciò si aggiunga che le singolarità sono altre due: oggi noi non riusciamo affatto a penetrare nel perché della nascita, dalla materia inorganica, della vita, né nel perché della comparsa della vita intelligente e cosciente (l’uomo). Di più: ci sfugge non solo il perché di questi avvenimenti, come il perché ultimo dell’universo, ma anche il come.

Dunque, ricordato che il vuoto quantico non è il nulla, ma qualcosa, e che il suo esistere avrebbe a sua volta bisogno di un spiegazione, possiamo chiederci se la verità non sia quella di una causa invisibile, che non significa irrazionale, del visibile. Se cioè, con un testo di migliaia di anni fa chiamato Genesi, non sia necessario postulare, a livello di ragione, un Dio Creatore, unico vero Essere in sé sussistente, capace di creare un universo originato, diveniente, contingente.

Ipotizziamolo. Ogni suo atto creativo (universo, vita, intelligenza) sarebbe di per sé inafferrabile, perché unico e irripetibile. L’atto creativo implica istantaneità, relazione, differenza ontologica, incommensurabilità, tra Causa ed effetto. Finché la ragione e la scienza non negheranno il salto ontologico tra nulla e materia, tra materia e vita, tra vita non umana e unicità umana… nulla di più logico che credere che l’universo, nato, ordinato ed abitato, non sia affatto figlio del nulla, ma di un Dio ordinatore, vivente ed intelligente. Nascita dell’universo, ordine, vita e ragione chiedono spiegazioni, serie. Come ha scritto Roy Varghese “La vita, la consapevolezza, la mente, l’io possono provenire solo da una Fonte che è viva, consapevole, pensante. Se noi siamo dei centri di coscienza e di pensiero in grado di conoscere, amare, di avere intenzioni e di attuarle, non riesco a capire come tali centri possano giungere in essere da un qualcosa che è esso stesso incapace di compiere tali attività”. Con il nulla, invece, non si riempiono neppure i vasi di marmellata. (Il Foglio, 2/10/2014)

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