di Gerhard Ludwig Müller, da La speranza della famiglia (edizoni Ares)
È evidente l’enormità della sfida lanciata da questo mondo tanto secolarizzato. Da una parte, in alcuni Paesi tradizionalmente cristiani, si osserva una progressiva perdita della fede. Parallelamente, in molti altri luoghi la religione cristiana si è ridotta a un complesso di valori, idee o attività sociali, perdendo ciò che era essenziale e basilare nell’esperienza di fede: l’incontro reale con Gesù Cristo, Figlio di Dio e il rinnovamento totale dell’uomo nella prospettiva escatologica. A questo proposito, il matrimonio cristiano come sacramento si può comprendere in tutta la sua profondità solamente a partire da questa prospettiva cristologica ed escatologica.
Il matrimonio non si riduce alla convivenza con un’altra persona: è una decisione definitiva nel quadro della relazione di Cristo sposo con la Chiesa sposa. Cristo viene prima di tutto. Come è stato detto in modo tanto peculiare da Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, con un inedito neologismo, Cristo ci «primeggia». Dalla creazione del mondo, Dio ha voluto in Cristo che la sua decisione verso di noi, suoi figli, sia definitiva e radicale. Perciò, è volontà di Dio che il matrimonio sia questa unione intima e singolare tra un solo uomo e una sola donna; tale unione è la sorgente da cui scaturisce la famiglia e il criterio per valutarla.
A questo proposito il Santo Padre ha detto recentemente: «Tutti i matrimoni sono ordinati e hanno la tendenza interiore a essere fecondi: i figli hanno origine nell’amore sponsale». Nell’omelia della Messa mattutina celebrata nella Casa di Santa Marta il 2 giugno, il Papa ha ricordato inoltre con un certo humour una situazione contemporanea, espressione di un terribile dramma: pensiamo a tante coppie che invece di avere figli, preferiscono un cane, un gatto o altro gingillo. Facendo così, molti sposi rinunciano a un legame personale che dà origine alla relazione con i figli e che è il completamento e la perfezione dell’amore coniugale che professano.
Mi arrischio ad affermare che l’educazione affettiva della gioventù di oggi è tra i problemi più gravi con cui dobbiamo confrontarci.
Noi pastori costatiamo con preoccupazione che molti giovani vivono in opposizione a ciò che la Chiesa propone. Molti tra loro rifiutano di vivere e sviluppare il loro amore con fedeltà totale, all’interno di un matrimonio indissolubile: di fatto, potremmo dire che hanno paura dell’impegno. Perciò, la sessualità è intesa come semplice piacere, non come possibilità di ricevere e comunicare vita, in seno a una comunione d’amore. Rifiutano di costruire una comunione di vita e di amore con la persona amata.
Ritengo che, in fondo in fondo, questi giovani non siano altro che l’indice della grave difficoltà del nostro mondo di comprendere la vera dimensione di comunione dell’esistenza umana. In un mondo rabbiosamente individualista e soggettivista, il matrimonio non è più percepito come possibilità offerta all’essere umano per raggiungere la sua pienezza, partecipando all’amore. Qualcuno dovrà annunciare nuovamente il Dio, Trinità amorosa!
Dovremo annunciare il Dio rivelato che chiama tutti a prendere parte al suo essere relazionale.
Dovremo sottolineare che tale partecipazione alla vita divina non è riservata ad alcuni eletti, bensì è offerta a tutti, celibi e sposati. Soprattutto, dovremo spiegare che questo è stato il grande «regalo di nozze» fatto da Dio all’umanità, per mezzo dell’incarnazione della Parola e dell’effusione dello Spirito Santo.
La preparazione remota al matrimonio, perciò, fin dall’infanzia e dall’adolescenza dovrebbe essere una delle massime priorità educative della pastorale. Un bambino che scopre di essere amato senza condizioni in quanto figlio, nell’adolescenza diventerà una persona che si sente spinta ad amare l’altra persona, e poi nell’età adulta, dopo essersi riconosciuta nella dimensione sponsale, come uno che scopre la fecondità del proprio amore. Insisto tuttavia che la preparazione prossima o immediata al matrimonio risulta inefficace se non si educa fin dalla culla la dimensione personale e affettiva della persona. Solamente così si ottiene di armonizzare le dimensioni basilari dell’esistenza umana: la persona, la socievolezza, la fecondità, la responsabilità, l’educazione, la comunione.
Questo è il fondamento per intendere in modo integrale il matrimonio. I giovani hanno diritto a sperimentare fin dall’inizio della loro esistenza ciò che solamente la famiglia può dare: mi riferisco alla confidenza e all’equilibrio scaturenti dal fatto di esser stati accettati a accolti senza condizioni dai genitori. Non esiste maniera migliore per infondere nei giovani la vera speranza. Per loro, i genitori sono i primi rappresentanti dell’amore di Dio. Essi trasmettono la fiducia nata dal sapersi accolti e accarezzati dalle mani del Creatore, che ci amava anche prima che fossimo generati.
Con espressione più teologica, i nostri genitori sono, data la loro partecipazione al sacerdozio comune di tutti i fedeli, rappresentanti sacerdotali della fiducia, dell’amore e dell’incondizionata accettazione della nostra esistenza umana.
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Il «per sempre» chiaramente si lega all’«una volta per sempre» del sacrificio di Gesù sulla croce, che ha dato la sua vita per noi. Dare la propria vita è quasi la rappresentazione dell’amore, dal momento che l’amore non è un sentimento vago, bensì una realtà: realizzarsi attraverso la donazione di sé.
Il cuore dell’amore è il donarsi di Dio per noi. Siamo stati liberati da noi stessi, dall’egocentrismo, quando fummo creati dal Dio Trinitario che esiste nell’amore, nella relazione del Padre col Figlio nello Spirito Santo. Perciò, la relazionalità è e sarà sempre fondamentale per la nostra esistenza. È impossibile vivere isolati o chiusi in noi stessi! La vita ha senso unicamente quando diviene concreta donazione all’altro: nella vita quotidiana, giorno per giorno. In modo particolare, essa si dà nel mistero del matrimonio che diventa il luogo privilegiato dove si sperimenta la donazione di sé definitiva e senza condizioni, che dà senso alla nostra vita.
Tutto ciò, indubbiamente, è tanto bello e incoraggiante, ma presenta anche il limite di non potersi realizzare contando unicamente sulle proprie forze. Senza l’umile ammissione dei propri limiti e senza la sincera offerta del perdono ricevuto da Dio, non è possibile sostenere il «per sempre». Ritengo che dietro tante famiglie spezzate o ricomposte a pezzetti, con vari «padri» o «madri» o solo con «madri» o solo con «padri», in definitiva ci sia un difetto di comprensione di ciò che ritenevamo evidente.
Secondo il mio parere, l’obiettivo principale del prossimo Sinodo dovrebbe essere il compito di recuperare l’idea sacramentale del matrimonio e della famiglia, per conferire ai giovani disposti a iniziare il cammino coniugale, o a quelli che già vi si trovano, il coraggio necessario. In fondo, si tratta di dire loro che non sono soli in questo cammino, che la Chiesa – sempre madre – li accompagna e continuerà ad accompagnarli.
Appare evidente che questo sarebbe un compito impossibile da realizzare se l’affidassimo alla semplice pubblicazione di qualche libro o articolo specialistico! Non possiamo dimenticare la forte testimonianza dei matrimoni che non falliscono. Tutti conosciamo coppie felici e appagate che hanno vissuto intensamente divenendo, per lo più inconsciamente, testimoni privilegiati della verità dell’amore umano.
Il Santo Padre parla spesso della realtà della povertà, incarnata nei poveri del terzo e quarto mondo, relegati nelle cosiddette «periferie esistenziali». Tra loro ci sono i figli che debbono crescere senza i loro genitori, gli «orfani del divorzio». Forse sono i poveri più poveri del mondo: sono i figli abbandonati non solo nei Paesi del terzo mondo, ma anche qui in Europa, nell’America del Nord, nei Paesi più ricchi. Questi «orfani del divorzio», a volte circondati da molti beni, con molto denaro a disposizione, sono i più poveri tra i poveri, perché hanno molti beni materiali, ma sono privi di quello fondamentale: dell’amore oblativo di due genitori che rinunciano a sé stessi per loro. Le cose stanno così perché solamente i beni spirituali e non quelli materiali ci permettono di maturare e giungere con sicurezza all’età adulta.
Lei ha sottolineato la gran difficoltà di vivere il «per sempre». Indubbiamente, la dottrina circa l’indissolubilità del matrimonio oggi è tra le più incomprensibili nei nostri ambienti secolarizzati. Là dove la fede cristiana è divenuta irrilevante e si sono smarrite le sue ragioni fondamentali, il fatto di appartenere in modo convenzionale e senza alcuna esigenza alla Chiesa non permette di guidare le scelte concrete della vita né offre un valido sostegno a coloro che attraversano una crisi matrimoniale.
Certamente la stessa cosa avviene per le vocazioni sacerdotali e religiose.
Molti si chiedono: come potrò legarmi per tutta la vita a una sola persona? Chi può dirmi che cosa avverrà o come cambierò dopo venti o trenta anni di matrimonio? È davvero possibile un vincolo definitivo con una sola persona?
Le esperienze negative di tanti rafforzano lo scetticismo di altri davanti a una decisione tanto esigente e radicale come quella di una vita coniugale cristiana.
D’altra parte, vorrei sottolineare che recenti indagini svolte tra i nostri giovani hanno confermato il fascino dell’ideale di fedeltà tra un uomo e una donna, fondato sull’ordine della Creazione. Anche se affermano di «credere» nel divorzio, la maggior parte tra loro aspira a una relazione fedele e costante, corrispondente alla sua natura spirituale e morale.
Peraltro, non dobbiamo dimenticare che il matrimonio indissolubile possiede un valore antropologico di primaria grandezza: sottrae la persona all’arbitrio e alla tirannia dei sentimenti e degli stati d’animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà personali e a superare le esperienze dolorose; soprattutto protegge i figli.
Perciò affermano che l’amore è qualche cosa di più di un sentimento o di un istinto.
Nella sua essenza, esso è dedizione e impegno. Nell’amore coniugale, due persone si dicono l’un l’altra, in modo cosciente e volontario: sei così importante per me, sei così unico/a per me, che voglio stare solamente con te e per sempre!
La parola del Signore «ciò che Dio ha unito, non lo separi l’uomo» corrisponde alla promessa scambiata da ogni coppia: «Io, A, prendo te, B come legittimo sposo/a». Questo fondamento che rende possibile la speranza va nuovamente comunicato ai giovani, perché con rinnovato coraggio siano in grado di affrontare la grande sfida del «per sempre». Insisto: nel presente contesto culturale, la comprensione di questi postulati risulta molto difficile senza una fede ben accolta e vissuta.