di Angelo Bonaguro
Nel 1956 il primate Wyszyński lanciò l’idea che una copia dell’immagine miracolosa pellegrinasse per il paese: «Visto che non tutti riescono a far visita alla propria Regina a Jasna Góra, che sia Lei a recarsi dai suoi figli là dove vivono, ossia nelle loro parrocchie!». Leonard Torwirt, pittore e restauratore, fu incaricato di dipingere una copia dell’icona miracolosa. Il primate fu molto contento del risultato e il 26 agosto ‘57 la copia, benedetta da Pio XII, iniziò il suo pellegrinaggio per la Polonia. Fino al ‘66 toccò ad una ad una le parrocchie rimanendovi anche per un solo giorno che si trasformava in una vera e propria festa popolare: addobbi lungo le strade e agli edifici (persino quelli pubblici, notavano con disappunto le autorità!), bande musicali, ecc. Ma fu soprattutto l’intenso programma spirituale a inquietare il regime: era chiaro che il tessuto religioso tradizionale resisteva ancora, con la sua profonda devozione mariana e il legame alla Chiesa universale. Le autorità comuniste dapprima cercarono di disturbare e di ostacolare la partecipazione dei fedeli, finché decisero di passare all’azione.
Il 20 giugno 1966 l’icona era in viaggio verso Varsavia accompagnata da Wyszyński. Non potendo arrestare nuovamente il primate, i comunisti decisero di fermare la Madonna pellegrina. L’episodio fu descritto in modo colorito dallo stesso primate: «Ci fermarono in mezzo ai campi, dalle parti di Liksajny… Davanti a noi apparvero un’auto e una moto della polizia, e la nostra colonna si fermò. Sbucarono numerosi altri veicoli della milizia, pattuglie, moto della polizia… Dopo un’ora di inutili trattative cominciò l’operazione… Alcuni guerrieri scesero dalle moto e con incedere hitleriano si diressero al pulmino che trasportava l’icona, circondato dai sacerdoti. Dopo qualche attimo di tensione pretesero il libretto del veicolo ma i sacerdoti respinsero la richiesta. Allora un marcantonio della milizia si infilò con la forza nel pulmino… Sulle nostre teste volteggiava un elicottero, avevamo l’impressione di essere al fronte». Seguì il fermo del veicolo e il sequestro dell’immagine che fu riportata a Varsavia, in cattedrale, chiusa in sacrestia davanti a una finestra con le sbarre. Dall’esterno sembrava proprio in carcere, e i fedeli cominciarono a deporre fiori e candele lungo il marciapiede e sul davanzale.
Wyszyński non si perse d’animo: il 2 settembre dispose che l’icona fosse portata a Katowice per una celebrazione, ma lungo il percorso fu «arrestata» da una cinquantina di agenti alla presenza di un procuratore, che la rinchiusero nella cappella di san Paolo a Jasna Góra e piazzarono due sentinelle all’ingresso del convento.
La scomparsa dell’icona sorprese tutti: sia i paolini sia le autorità comuniste le quali per diversi giorni non seppero che pesci pigliare e si mossero in ogni direzione, convocarono riunioni ad ogni livello, informarono persino il segretario generale Kania e il ministro degli interni Oiepka. Wyszyński intanto faceva lo gnorri finché il giorno 18, a Radom, con Wojtyła aprì gongolante la processione mariana accompagnata dall’icona «liberata». I 4 del kommando furono interrogati ma con i guanti di velluto, e l’inchiesta non approdò a nulla: in quegli anni la leadership cercava la stabilità politica e preferì ingoiare il rospo ed evitare lo scontro aperto con la Chiesa. Sul blitz guidato da don Józef, scomparso nel febbraio scorso, la tv polacca ha realizzato un film-documentario.
«Jasna Góra – ha scritto Wyszyński – si è rivelata come un legame interno nella vita polacca, una forza che tocca profondamente il cuore e tiene la nazione intera nell’umile, ma forte, atteggiamento di fedeltà a Dio, alla Chiesa e alla sua gerarchia. Per noi tutti è stata una grande sorpresa vedere la potenza della Regina di Polonia manifestarsi così magnificamente».