Difficile non sentirsi a disagio quando si tocca il tema dell'immigrazione, combattuti tra il necessario rispetto della dignità dell'uomo e la giusta esigenza di porre ordine – se non un freno – a una tumultuosa calata che trova la nostra società abbondantemente impreparata. E tale disagio lo si coglie nelle posizioni espresse da organismi e leader cattolici che variano dall'appello all'accoglienza, di tutti e senza riserve, alla richiesta di severità – e numero chiuso – negli ingressi. Esiste allora una possibilità di conciliare questi "estremi", presenti anzitutto dentro di noi prima che nelle posizioni pubbliche di individui e associazioni? Pur senza pensare di avere in tasca la ricetta definitiva, credo che sia importante cercare di affrontare la questione entro l'orizzonte della "giustizia", che tenga conto di tutti i fattori in gioco: il singolo migrante, lo Stato da cui proviene, la società che lo accoglie. In questa prospettiva credo che il concetto chiave stia nella distinzione chiara tra l'immigrato e le politiche migratorie.
L'immigrato clandestino o meno, una volta che sia sul nostro territorio va accolto, riconosciuto nei suoi diritti personali, garantiti dallo Stato e dalle Convenzioni internazionali.
Giustizia in questo caso è il rispetto dei diritti umani della singola persona: dunque non è accettabile, ad esempiO, respingere In mare le navi dei clandestini o rendere invivibili le condizioni nei campi profughi per scoraggiare altri arrivi.
Allo stesso tempo però deve essere chiaro che l'accoglienza e il rispetto della dignità umana non significano automaticamente garantire il permesso a risiedere a tempo indeterminato nel territorio, italiano ad esempio.
Cosa deve dunque garantire lo Stato che si trova a dover gestire l'afflusso di immigrati?
N. 19 – ANNO IV – Maggio/Giugno 2002
«Arrivano i Nostri»: fino alla Festa dell'Assunzione della Beata Vergina Maria una selezione quotidiana del meglio del nostro archivio affinché gustiate, amiate e diffondiate sempre di più Il Timone.