Dal resoconto di una conversazione del 1970 tra il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, e un redattore della rivista da lui fondata, Renovatio:
RENOVATIO — Possiamo riassumere così la visione che V.E. ha della crisi della società umana cosi come della presente situazione ecclesiale: vi è una realtà umana che i mezzi di comunicazione di massa non dominano, vi è una vita cristiana che la dottrina dell’opinione non corrompe?
SIRI — La realtà che conta è sempre la realtà profonda, quella che la dittatura dell’opinione nega perché non riesce ad afferrarla. La presente situazione della Chiesa è una delle più gravi della sua storia, perché questa volta non è la persecuzione esteriore a impugnarla, ma la perversione dall’interno. Più grave. Ma le porte dell’inferno non prevarranno.
RENOVATIO — Tuttavia vi sono mezzi e provvedimenti che possono essere oggetto di desiderio dei fedeli: può indicarne V.E. eventualmente qualcuno?
SIRI — La cosa più urgente è restaurare nella Chiesa la distinzione tra verità ed errore. Talvolta sembra riecheggiare come dominante il dibattito teologico la domanda di Pilato: che cos’è la verità? Occorrono atti che sfatino la legittimità della dittatura dell’opinione, questo terribile potere di fatto che limita e coarta il potere di diritto. Siamo al punto in cui qualunque esercizio dell’autorità ecclesiastica è considerato abuso nei confronti della libertà. Come se l’autorità fosse la negazione della libertà! Mille poteri illegittimi coartano ben più gravemente e ben più sistematicamente la coscienza e la libertà delle persone sul piano immediato, mentre sul piano più profondo le separano dalla verità, espressa nelle fonti della Rivelazione e nel Magistero. Io spero che le giuste e autorevoli distinzioni verranno.
RENOVATIO — Quando si parla di un ritorno ad una condanna formale di proposizioni, si dice che ciò non è conforme alla natura pastorale dell’autorità nella Chiesa. E si dice anche che ciò potrebbe dar luogo a scismi.
SIRI — La pastorale non è l’arte del compromesso e del cedimento: è l’arte della cura delle anime nella verità. Quando questo è stato detto tutti hanno capito: anche, e soprattutto, quelli che hanno deformato o criticato. Il linguaggio del buon pastore è all’opposto di quello che dicono alcuni teologi del momento.
Non credo a possibilità scismatiche. Coloro che usano della loro funzione ecclesiastica per sovvertire la Chiesa contano, in realtà, innanzi agli occhi de mondo solo perché esiste quella Chiesa che essi intendono demolire in nome della «Chiesa futura umanità».
Poi ci sono tanti segni, soprattutto fuori d’Europa, che indicano che i demolitori della Chiesa hanno fatto il loro tempo. Posso ricordare qui, come esempio, il contegno della Chiesa africana, che ci ricorda nel nome la grande funzione della Chiesa d’Africa nel III, nel IV e nel V secolo. Essa è un conforto per la Chiesa universale e per il pontificato romano.