di Massimo Introvigne
Il prossimo 8 luglio Rodney Stark, da molti considerato il più grande sociologo delle religioni vivente, compie ottant'anni. Conosco Stark da molti anni, e con lui ho scritto a quattro mani nel 2003 Dio è tornato (Piemme), un libro che ha messo in discussione molte idee allora dominanti in tema di secolarizzazione. Ho anche seguito la sua evoluzione da agnostico a cristiano, sia pure «a modo suo» e non aderente ad alcuna denominazione: un riavvicinamento al cristianesimo che è passato proprio dalla sociologia, e dalla valutazione del ruolo straordinario che i cristiani, soprattutto i cattolici, hanno avuto nella storia per creare civiltà, vero progresso e libertà. A ottant'anni, pure con qualche acciacco, Stark continua a coltivare nuovi interessi. Ha appena pubblicato un volume su religione e violenza, e già ne prepara uno nuovo, sulla Cina. Ha accettato di aprire a Waco, in Texas, dove insegna alla Baylor University, il congresso annuale del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), un'organizzazione internazionale di studiosi accademici del pluralismo religioso che ho fondato nel 1988 e tuttora dirigo. In questa intervista esclusiva al La Nuova Bussola quotidiana anticipa i temi del suo prossimo libro sulla Cina.
Perché proprio la Cina? Che interesse può avere per un sociologo delle religioni un Paese che ancora si dichiara comunista e che oggi, diventato ricco, sembra immerso nel materialismo?
Quella della Cina come Paese dove il cristianesimo, prima della Rivoluzione comunista, aveva attecchito in maniera superficiale è una favola. Molti ricordano, almeno in America, la battuta del giornalista comunista Edgar Snow [1905-1972] secondo cui, mentre in Occidente l'oppio del popolo è la religione, in Cina l'oppio del popolo è l'oppio, dunque la religione non è importante. Snow e i suoi amici liquidavano i cinesi convertiti al cristianesimo come «cristiani del riso», poveretti che frequentavano le missioni non per la religione ma per il pugno di riso che ricevevano gratis dai missionari. Ma tanti cosiddetti «cristiani del riso» con l'avvento del comunismo hanno dato la vita per il cristianesimo. È probabile che ci siamo stati più martiri cristiani in Cina nel XX Secolo che in qualunque altro Paese del mondo. E i cristiani cinesi non si sono limitati a farsi ammazzare: si sono organizzati per sopravvivere e di fatto sono sopravvissuti. Per la verità sono sopravvissute anche le altre religioni, e sono nati nuovi movimenti religiosi. Il mito della Cina comunista come società atea e post-religiosa è emerso come l'oppio dei sociologi, particolarmente negli Stati Uniti.
Tuttavia, nei sondaggi la maggioranza dei cinesi continua a dichiararsi non religiosa.
È vero, ma nello stesso tempo c'è un equivoco. In Cina «religioso» significa formalmente affiliato a un'organizzazione religiosa. Se si esaminano bene i sondaggi si scopre che la grande maggioranza di coloro che si dichiarano «non religiosi» affermano nello stesso tempo di pregare regolarmente e di visitare con una certa frequenza luoghi di culto. È probabile che anche il numero di coloro che sono affiliati a un'organizzazione religiosa sia più alto di quel dieci o venti per cento che emerge dai sondaggi. Perché in Cina sono legali solo le organizzazioni religiose «ufficiali», i cui vertici sono nominati dal governo, e dichiarare di essere affiliati a un'organizzazione religiosa non ufficiale o clandestina equivale a confessare di avere commesso un reato.
Veniamo ai cristiani in Cina. Quanti sono?
Questo è il problema centrale che discuto nel mio libro in preparazione. Se uno legge diversi testi sui cristiani cinesi, trova numeri che vanno da sedici milioni a duecento milioni, non proprio differenze di poco conto. Credo che vadano scartate tutte le statistiche fornite dal governo, che rispondono a scopi politici. Le agenzie missionarie cattoliche e protestanti sono presenti sul territorio e fanno un lavoro eccellente, ma la mia impressione è che il loro modo di raccogliere dati, che pure sono utili, non sarebbe ritenuto accettabile da molti sociologi. Le grandi agenzie di rilevazione occidentali, a partire dalla Gallup, talora sono autorizzate a operare in Cina, ma con problemi e restrizioni. Io ho lavorato con la Horizon, che è la più grande agenzia di sondaggi cinese e che su altre questioni si è dimostrata abbastanza indipendente dalle pressioni politiche. Dai dati della Horizon si ricava che nell'ultimo grande sondaggio nazionale di questa società,che risale al 2007, si dichiarava cristiano il 3,1% della popolazione di età superiore ai sedici anni! cioè 35,3 milioni di cinesi. Tuttavia con colleghi cinesi abbiamo potuto effettuare una seconda indagine. Abbiamo ottenuto la cooperazione di gruppi di «chiese domestiche», cioè di cristiani che si ritrovano in case private, e abbiamo chiesto a un ampio campione di cristiani se accettano o rifiutano di rispondere ai sondaggi dove ci sono domande sulle loro opinioni politiche, culturali o religiose. Anche la Horizon sa che molti cinesi, nonostante la garanzia dell'anonimato, pensano che rispondere ai sondaggi sia comunque pericoloso, ma mentre tra la popolazione in generale rifiuta di rispondere ai sondaggi il 38%, tra i cristiani da noi intervistati questa percentuale sale al 68%. Non basta: nella nostra indagine abbiamo anche trovato cristiani i quali affermano che ai sondaggi rispondono ma quando lo fanno non dicono di essere cristiani, perché non si fidano degli intervistatori. Introducendo dunque dei fattori di correzione matematici dei dati Horizon per porre rimedio a queste distorsioni, il numero di cristiani sale a 64,3 milioni nel 2007, cioè più di 70 milioni oggi. Molti di più dei sedici milioni di cui parla il governo, meno dei cento o duecento milioni citati da qualche agenzia cristiana che credo si riferisca a indagini dove si chiede ai cinesi se sono interessati alla figura di Gesù Cristo, quesito non irrilevante ma che non identifica di per sé i cristiani.
Avete studiato anche la proporzione fra cattolici e protestanti?
Sì. Quando il comunismo è arrivato al potere probabilmente fra i cristiani cinesi c'erano tre cattolici per ogni protestante. Oggi ci sono dieci protestanti per ogni cattolico. La spiegazione è semplice. Non è che i missionari o il clero cattolico siano meno attivi e anche eroici dei protestanti. I cinesi amano molto i riti e le cerimonie e questo prima della Rivoluzione era un punto di forza del cattolicesimo. Ma dopo la Rivoluzione è diventato un fattore di debolezza, perché è più facile nascondere alle persecuzioni una religiosità con riti ridotti all'osso e che possono essere praticati in casa e in silenzio, come è quella di molto protestantesimo cinese, che una Messa cattolica, dove magari ai cinesi piace anche cantare…
Ma, alla fine, che cosa ci dicono queste cifre?
Prima di rispondere, vorrei sottolineare un altro dato della mia ricerca, che secondo me è molto importante. Chi si converte al cristianesimo? Anche la Cina, anzi direi soprattutto la Cina, ci aiuta a liquidare una sociologia di vecchio stampo secondo la quale i convertiti al cristianesimo nei Paesi di missione sono i più poveri e i meno istruiti. In Cina è certamente il contrario. Si convertono di più i più ricchi e i più istruiti, tra cui tanti professori di scuola superiore e universitari. Se le mie analisi sono corrette i cristiani cinesi sono il 5% della popolazione. Sul totale dei cinesi sono una minoranza, anche se con i loro ritmi di crescita faranno a breve della Cina il singolo Paese del mondo con il maggior numero di cristiani, non in percentuale ma in cifra assoluta. Ma si deve tenere conto che si tratta dell'élite della nazione, con una possibilità di influenza culturale molto maggiore di quello che il semplice dato numerico farebbe presumere. E naturalmente tutto cambierebbe se cambiasse il quadro giuridico della libertà religiosa. Per questo penso che Papa Francesco, e tanti leader protestanti, abbiano assolutamente ragione quando affermano che il futuro del cristianesimo – almeno dal punto di vista dei numeri, che beninteso non è l'unico punto di vista – è in Asia.