Il prof. Maurizio Mori, ordinario di Bioetica nell’Università di Torino nonché presidente della Consulta di bioetica Onlus, sostiene che, per motivi filosofici “evidenti” e “ragionevoli”, nessun medico potrebbe e dovrebbe mai rifiutarsi di praticare un aborto.
Infatti, dice Mori, un medico è come un soldato. Quando un soldato si arruola, sa che il suo compito è quello di obbedire sempre e comunque agli ordini senza frapporre obiezioni, a maggior ragione ‒ in nome della professionalità e dei doveri che ne derivano ‒ quando con gli ordini detto medico non è d’accordo. Quindi, secondo Mori, non spetta al medico scegliere e decidere: al medico spetta solo seguire il volere di altri. Dov’è che l’abbiamo già sentita una idea così?… Ah, sì: al processo di Norimberga dove per crimini contro l’umanità furono giudicati gli esecutori materiali nazisti di ordini emanati da superiori assenti al dibattimento poiché già defunti…
Ma in realtà Mori sbaglia ancora prima; sbaglia cioè a monte. Il biologo Enzo Pennetta lo spiega bene sul sito Critica scientifica.
Il paragone di Mori tra medico e soldato infatti non regge: perché il medico e il soldato non svolgono affatto mestieri analoghi. Il medico opera per salvare la gente, mentre il soldato opera per difendere un ordine costituito, eventualmente a tale scopo essendo anche disposto, a priori, a sacrificare la vita altrui e la vita propria.
L’unica analogia possibile fra medico e soldato è quella della totale dedizione di entrambi al perseguimento di un bene superiore, ma qui l’analogia pure finisce. Perché i modi che il medico e il soldato hanno per perseguire quello scopo superiore, magari anche supremo, sono diversi, talora persino antitetici.
Per il conseguimento di un bene superiore, al soldato attiene il diritto e quindi anche il dovere di sacrificare eventualmente la vita. Al medico attiene invece il dovere e quindi il diritto di salvare sempre una vita. Il soldato per sacrificarla e il medico per salvarla non giudicano mai la vita di chi sta loro davanti. Altrimenti non si spiegherebbe perché un soldato soggettivamente buono possa paradossalmente abbattere in guerra un altro soldato soggettivamente buono; perché un soldato personalmente buono possa combattere una guerra intrinsecamente ingiusta e viceversa, senza ‒ entro certi limiti ‒ esserne ritenuto moralmente colpevole; e perché un medico è sempre tenuto a fare tutto il possibile per salvare la vita persino di un delinquente incallito che sia stato per esempio ferito in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine e che come tale si trovi sottoposto alle sue cure in una struttura sanitaria, peraltro debitamente piantonato da dette forze dell’ordine onde impedire che ‒ le condizioni di salute di quel tale non sono una scusante ‒ il ricoverato si sottragga alla giustizia.
Al medico, insomma, dev’essere sempre concessa la possibilità di obiettare in coscienza di fronte alla richiesta di sopprimere una vita umana: perché l’obiezione di coscienza è anzitutto e soprattutto un dovere che attiene alla sua professione. La gravidanza non è mai una malattia e quindi la sua interruzione volontaria non è mai una cura alla quale un medico è tenuto. Mentre per un medico è sempre un dovere assistere al meglio e al massimo il venire alla luce di una vita nuova, cosa che è in se stessa un bene superiore.
Per motivi filosofici evidenti e ragionevoli, nessun medico potrebbe e dovrebbe mai rifiutarsi di praticare l’obiezione di coscienza.