José María Zavala è un noto giornalista e scrittore madrileno, autore di numerosi libri anche d’inchiesta storica e spirituale, specialista della storia dei Borboni di Spagna e della Guerra Civile spagnola, in Italia noto per il suo Padre Pio. I miracoli sconosciuti del santo con le stigmate (La Fontana di Siloe, Torino 2013).
La sua ultima fatica è il recentissimo Isabel íntima. Las armas de la mujer y reina más célebre de la Historia de España (Planeta, Barcellona 2014), dedicato alla celebre regina che salutò il compimento della Reconquista cattolica della Spagna e che benedisse il viaggio di Cristoforo Colombo che avrebbe scoperto l’America. Un libro, il suo, che l’autore ha scritto per sfatare ‒ ancora una volta, giacché ancora ve n’è bisogno ‒ la “leggenda nera” che avvolge la vita e l’operato d’Isabella. Contro la regina, infatti, sopravvivono ancora e tuttora accuse infamanti quanto infondate.
Una di queste punta il dito contro l’istituzione dell’Inquisizione in Castiglia, che la regina chiese e ottenne da Papa Sisto IV nel 1478; sul punto, però, la bibliografia “di contrasto” è fortunatamente oramai abbondante anche in italiano. L’Inquisizione nacque e fu un tribunale che doveva accertare la verità processuale onde sottrarre gli accusati di eresia dai procedimenti sommari cui altrimenti le autorità secolari li sottoponevano; fu pertanto una corte giudicante che aveva anzitutto il compito di stabilire chi non fosse eretico. Inoltre, l’Inquisizione introdotta da Isabella in Castiglia aveva giurisdizione soltanto sui cattolici battezzati motivo per cui non agì mai sugli appartenenti ad altre religioni.
Una seconda accusa contro la regina è quella che sottolinea il decreto di espulsione degli ebrei dalla Spagna, ma Zavala la smonta efficacemente. Nella Spagna di allora, infatti, dove gli ebrei erano molto numerosi, vi fu a un certo punto la necessità di frenare la minaccia rappresentata dalle false conversioni. La situazione era infatti tale che la massiccia presenza di ebrei che solo formalmente si professavano cattolici anche in settori chiave della vita pubblica del Paese generava continui attriti con la popolazione. Quando Isabella salì al trono, del resto, la convivenza fra ebrei e cristiani era assolutamente deteriorata e il problema dei falsi convertiti in grado di minacciare l’esistenza stessa della Spagna. Del resto, l’Inquisizione, che – come detto – aveva giurisdizione esclusivamente sui battezzati –, agì solo contro quanti si fingevano cattolici per trarne vantaggi, accertando invece che tutti gli altri erano veri convertiti dall’ebraismo o anche dall’islam, e che dunque nessuno aveva il diritto di discriminarli o di attaccarli con la violenza.
Zavala osserva opportunamente che tutta la situazione, che non configura affatto antisemitismo, va considerata relativamente all’attualità politica di allora, non certo guardata con anacronistici occhi di oggi.
Isabella fu infatti una grande regina, ma soprattutto una grande cattolica. Da anni è aperto infatti per lei un processo di beatificazione che, annuncia Zavala, sembrava essere finalmente giunto a conclusione con il beato Giovanni Paolo II, pienamente convinto dell’eroicità delle virtù cristiane d’Isabella in base alle centinaia di migliaia di carte di cui consta la documentazione annessa alla sua Positio. Ma la beatificazione si è fermata, dice Zavala, pare per interessamento del cardinale Jean-Marie Lustiger ‒ egli stesso convertito dall’ebraismo e dunque sensibilissimo al tema ‒ per paura che essa potesse incrinare il delicatissimo dialogo con gli ebrei. La “leggenda nera” insomma è falsa, ma ancora miete vittime illustri.