Piyush Jindal, per tutti semplicemente “Bobby”, nato a Baton Rouge nel 1971 da genitori immigrati da Punjab indiano, è l’attuale, giovane governatore dello Stato della Louisiana. Membro del Partito Repubblicano, è uno dei grandi beniamini dei conservatori, ovvero di coloro che anche in politica hanno fortemente a cuore i “princìpi non negoziabili”. Ed è cattolico, convinto, convertito dall’induismo.
In questi mesi dove il braccio di ferro fra Obama e i suoi oppositori si gioca in massima parte sulla riforma sanitaria voluta dalla Casa Bianca, la quale, imponendo ai datori di lavoro di sottoscrivere per i propri dipendenti polizze assicurative sulla salute che garantiscano anche la gratuità dei sistemi di controllo delle nascite (contraccezione, aborto, sterilizzazione), viola palesemente e frontalmente il diritto alla libertà religiosa, Jindal suona la tromba della riscossa cattolica e patriottica. Del resto, da mesi la Chiesa Cattolica statunitense tiene la prima fila della contestazione alla riforma Obama, guadagnandosi il costante e crescente supporto di decine di altre confessioni religiose statunitensi e svolgendo sul campo un fattuale ruolo di riconosciuta leadership in questa testa-a-testa.
In un discorso che “non fa prigionieri”, tenuto alla Reagan Presidential Library di Simi Valley, in California, il 20 febbraio, Jindal ha detto: «Questa guerra alla libertà religiosa – alla vostra libertà di esercitare la religione, alla vostra libertà di associarvi, alla vostra libertà di espressione – non farà altro che continuare. Continuerà a causa di un’idea, di un concetto spericolato al quale apparentemente il presidente Obama crede: che la libertà di religione coincida con la libertà di culto, e basta. In questo concetto distorto e non americano di libertà religiosa, i vostri diritti iniziano e finiscono sulle panche della chiesa. Per quelli che fra noi credono in un mandato più grande, questa idea è ovviamente sciocca. Il presidente suggerisce che il diritto di pregare e il diritto a evangelizzare e a praticare liberamente siano la stessa cosa. Non lo sono, e non sono ciò che viene chiaramente protetto dal Primo emendamento: la libertà di praticare la nostra fede e di proteggere le nostre coscienze, anche se quelle attività non accadono all’interno delle quattro mura che delimitano una chiesa. Abbiamo il diritto di praticare la nostra fede e di proteggere la nostra coscienza, non importa dove». Un discorso potentissimo, e ricco di mille sfumature, tutto da leggere.