Il 28 gennaio, con 227 voti a favore e 188 contrari, la Camera dei deputati del Congresso federale di Washington ha approvato forti limitazioni al finanziamento pubblico dell’aborto.
La deputata del Tennessee, Diane Black, esponente del Partito Repubblicano, co-sponsor dell’iniziativa “No Taxpayer Funding for Abortion Act” (“Legge contro il finanziamento dell’aborto attraverso il denaro dei contribuenti”), forte della propria esperienza d’infermiera, ha lodato questo importante risultato politico, peraltro bipartisan, definendo testualmente l’aborto una «pratica barbarica», meritevole di essere solo e semplicemente abolita. E ha aggiunto: «Spero di vedere il giorno in cui questa verità si rifletterà nelle leggi del nostro Paese. Ma fino ad allora, possiamo – come minimo – proteggere i valori e le coscienze di milioni di contribuenti americani promuovendo leggi di questo tipo».
Da che, nel 1973, la Corte federale legalizzò l’aborto statunitense attraverso un vero e proprio “colpo di mano” giuridico, per di più fondato su una clamorosa menzogna (il finto caso di stupro di “Jane Roe”, ossia Norma McCorvey, che da allora si è convertita, prima al protestantesimo e poi al cattolicesimo, trasformandosi così in una paladina pro-life), la battaglia politico-legale combattuta con coraggio dagli americani antiabortisti impegnati nelle istituzioni si è spesso concentrata almeno sul tentativo di limitare il più possibile la libertà di aborto attraverso il divieto d’impiegare per esso denaro pubblico proveniente dalle tasse imposte ai cittadini statunitensi. Analogamente, si cerca costantemente anche d’impedire la partecipazione degli Stati Uniti a organizzazioni e ad azioni internazionali filoabortiste impugnando lo stesso divieto di utilizzo di fondi pubblici americani per iniziative miranti al controllo delle nascite.
All’origine di queste iniziative, sempre più spesso coronate dal successo nonostante l’alternanza delle maggioranze politiche contrapposte al Congresso e l’orientamento diseguale dei vari inquilini della Casa Bianca, vi è il famoso “Emendamento Hyde”, dal nome del deputato Repubblicano dell’Illinois Henry J. Hyde (1924-2007), cattolico, sincero amante del nostro Paese. La redazione de Il Timone ricorda bene il suo ufficio politico nel cuore di Washington, colmo di libri e di scartoffie, e quella sua comoda poltrona dietro la scrivania accanto alla quale svettava una statua della Madonna di Fatima alta almeno un metro e mezzo senza che per lui questo violasse di uno iota la “laicità” dello Stato americano. Ebbene, da quasi 40 anni l’“Emendamento Hyde” salva vite innocenti ogni giorno che il buon Dio concede. Il 30 settembre 1976 la Camera dei deputati approvò, infatti, con 206 voti a favore e 167 contrari, la legge proposta appunto da deputato Hyde allo scopo d’impedire che le tasse degli americani vadano a pagare la soppressione della vita umana ancora nel grembo della madre, se non nei casi d’incesto e di stupro. Non è certo la perfezione, Hyde lo sapeva bene, ma è già una grande arma per impedire benemeritamente un male che sennò potrebbe essere ancora più grande di quel che già tristemente è. Quella fortemente voluta da Hyde non è però una legge permanente, e quindi il Congresso federale deve rivotarla ogni anno. Cosa che puntualmente ogni anno viene fatta, ovviamente con successi non sempre uguali, ma con risultati costantemente significativi. Quest’anno, dunque, le tasse americane non pagheranno l’aborto. (IN INGLESE)