«Sono grata per il riconoscimento avuto grazie alle scelte che ho fatto. E sono anche grata di vivere in un momento per la nostra società, in cui esiste la possibilità di scelta. Perché come donne e ragazze, possono accadere al nostro corpo cose che non abbiamo scelto. Ho fatto del mio meglio per vivere la mia vita, che non è solo una serie di eventi che mi accadono, se mi guardo indietro posso vedere il segno della mia calligrafia dappertutto, disordinata e scarabocchiata, e in altri momenti attenta e precisa. Ma tutto scritto di mio pugno. Non sarei stata in grado di farlo senza la consapevolezza del mio diritto di donna, di scegliere quando e con chi avere un figlio».
E, ancora: «Quindi, donne dai 18 ai 118 anni, quando è il momento di votare, per favore, fatelo nel vostro interesse personale. È quello che gli uomini fanno da anni, motivo per cui il mondo assomiglia molto a loro, ma non dimenticate che siamo il più grande organo di voto in questo Paese».
Questo il nucleo del controverso discorso che l’attrice Michelle Williams (nella foto in evidenza) ha pronunciato durante la cerimonia di premiazione per i Golden Globes 2020, indossando un grazioso vestino color albicocca che non celava il suo “stato interessante”. Sì, perché l’attrice, diventata famosa negli anni Novanta per aver interpretato Jen Lindley in Dawson’s Creek, è ad oggi incinta ma nel suo discorso ha rimarcato orgogliosa di aver abortito un altro figlio per la carriera: una statuetta del Golden Globes vale una vita umana, secondo il pensiero dei paladini dei diritti e della libertà di autodeterminazione delle donne. E a poco serve rilevare l’evidenza della sterilità egoista di una vita così piegata sulle cose effimere anziché sull’essenziale: occhi lucidi e applausi scroscianti nascondono tutto dietro la maschera del progresso. Eppure, come ha commentato Lilia Rose di Live Action sul suo profilo Twitter: «Nessun trofeo vale più della vita di un bambino. Sacrificare i nostri figli per perseguire i nostri sogni è l’antitesi totale dell’empowerment delle donne».
Accanto a questo, non stupisce che l’attore principale della stessa serie che ha reso famosa la Williams, James Van der Beck, non faccia notizia: padre di cinque figli, tutti molto vicini d’età, è un grande testimonial del valore della vita e della famiglia. Così come non fa notizia il fatto che, nel solo 2019, negli Stati Uniti, in 21 Stati siano state approvate leggi prolife e che – secondo quanto appurato da una ricerca condotta da Operation Rescue – nel corso dell’anno appena conclusosi «un totale di 36 strutture per l’aborto sono state chiuse, a livello nazionale [negli Stati Uniti, ndR]» e «dal 2013, 367 strutture per l’aborto chirurgico sono state definitivamente chiuse».
Tuttavia, il 2019 ha anche visto tante nuove aperture di “cliniche della morte”, tanto che ad oggi sono 710 le strutture (delle quali il 54% afferenti a Planned Parenthood) che praticano gli aborti negli Usa, con un +9 rispetto al record registrato nel 2018. Scendendo poi nel particolare, la ricerca rileva che «il numero di cliniche chirurgiche per l’aborto è diminuito ogni anno per almeno l’ultimo decennio, passando da 713 nel 2009 a soli 464 nel 2019. Ciò rappresenta una diminuzione del 35 percento negli ultimi dieci anni». Di contro, tuttavia, nella stessa decade sono pressoché raddoppiate (+47%) le strutture che praticano l’aborto farmacologico, con un +15 cliniche nel solo 2019. Il che, stando all’oggettività del fenomeno, potrebbe significare che gli aborti tardivi – che sono i più redditizi e aprono agli scenari angoscianti della compravendita di organi – sono in diminuzione, anche se ogni singolo bambino ucciso grida vendetta al cielo, a prescindere dalla sua età gestazionale.
Ad ogni modo un dato è certo: il movimento pro-life, che non trova risonanza sui giornali, è molto più vivo della cultura della morte e, pian piano, sta mangiando il terreno sotto i piedi dei novelli Erode: una consapevolezza con la quale continuare con ancora convinzione, in questo 2020, la buona battaglia per la vita.
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