Nonostante la sentenza di assoluzione resa pubblica dalla Corte suprema il 31 ottobre, Asia Bibi continua a essere bloccata in Pakistan a causa della rabbia dei fondamentalisti islamici che sono riusciti ad aizzare una parte della popolazione, protestando violentemente lungo le strade delle principali città del Paese come Lahore, Islamabad, Peshawar e Karachi. Migliaia di persone hanno marciato bruciando fotografie della madre cattolica, imprigionata più di 9 anni fa per un’accusa di blasfemia (peraltro infondata), e mostrando altre immagini della donna recanti la scritta: «Impiccatela!». Dietro le manifestazioni c’è il partito Tehreek-e-Labbaik Pakistan (Tlp), fondato nel 2015 dal predicatore sunnita Khadim Hussain Rizvi, che si oppone a qualsiasi modifica della legge sulla blasfemia (usata di fatto per perseguitare le minoranze religiose) e vuole che il Pakistan adotti integralmente la Sharia.
Dopo che il primo ministro Imran Khan aveva inizialmente condannato le azioni degli estremisti islamici, accusandoli di offendere l’Islam, il governo ha ceduto firmando la sera del 2 novembre un accordo con il Tlp, che secondo il resoconto di AsiaNews è composto da cinque punti: «Il nome di Asia Bibi viene inserito nella Exit Control List [lista di controllo delle uscite, ndr], che le impedirà di allontanarsi dal Paese; il governo non si opporrà alla richiesta di revisione della sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte suprema; l’esecutivo dovrà risarcire le vittime delle proteste; inoltre rilascerà i manifestanti arrestati nei giorni scorsi; da parte loro, gli estremisti del Tlp si scusano se le manifestazioni hanno “offeso i sentimenti delle persone”».
Lo scrittore Kashif Hussain, intervistato dall’agenzia di stampa del Pime, ha definito l’accordo «una vergogna», nonché un rischio «per la stabilità dello Stato». Uno Stato in cui, va da sé, tutti i cristiani sono in pericolo, tanto che la polizia è stata schierata attorno alle chiese delle città più in subbuglio e il 31 ottobre la diocesi di Lahore ha deciso di chiudere le scuole cattoliche fino a quando il clima non tornerà più tranquillo.
Ricordiamo che oltre a chiedere l’uccisione dei tre giudici che hanno assolto Asia Bibi («le loro guardie di sicurezza, i loro autisti o i loro cuochi dovrebbero ucciderli», ha detto uno dei leader del partito sunnita, Afzal Qadri), il Tlp ha minacciato di morte l’avvocato della donna, un musulmano di 63 anni di nome Saif-ul-Muluk (nella foto). Temendo per la sua incolumità, il legale ha lasciato ieri mattina il Pakistan. Parlando con l’Agence France-Presse (Afp), Muluk ha spiegato che «nello scenario attuale non è possibile vivere in Pakistan. Ho bisogno di restare in vita per proseguire la battaglia giudiziaria per Asia Bibi». L’avvocato ha detto che tutti si aspettavano la reazione furiosa dei fautori della Sharia, ma «quello che non mi aspettavo è la risposta del governo. Non sono capaci nemmeno di far applicare una sentenza della corte più alta del Paese».
Che significa tutto questo nell’immediato per la madre cristiana che si è detta disposta al martirio pur di custodire la propria fede in Gesù? Sempre Asia News riferisce che «secondo Muluk, dopo l’accordo raggiunto fra governo e manifestanti, la vita di Asia Bibi non cambierà molto: sebbene essa sia stata liberata dalla prigione, non potendo andare all’estero dovrà vivere o sotto custodia permanente o in una prigione di sicurezza». Intanto, prosegue il lavoro sottotraccia di associazioni come Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) e Citizen Go, che stanno aiutando anche materialmente la famiglia e cercando una soluzione per l’espatrio di Asia. Oltre al sostegno economico, per chi può, il grande aiuto che ognuno può dare ad Asia e ai suoi cari (nonché alla conversione dei cuori) è la preghiera.
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