Blasfemia. Una parola a cui noi in Occidente siamo poco abituati, e che facciamo fatica a comprendere. Ma se la sostituiamo con il termine bestemmia, che ha la stessa radice, diventa più evidente che cosa sia. Con la differenza che non si tratta di una semplice e spesso involontaria imprecazione, ma è l’offesa voluta alla divinità, l’attacco dissacratorio a una religione e, di conseguenza, ai suoi seguaci. Il termine ha conquistato la ribalta della cronaca per le tormentate e dolorose vicende giudiziarie di Asia Bibi, la cristiana pakistana condannata a morte proprio per blasfemia e poi assolta (ma non ancora liberata), dopo essere stata accusata di aver offeso Maometto (accusa pretestuosa e assurda, riconosciuta infondata dopo un calvario di quasi 10 anni di carcere). In effetti, dove è in vigore la sharia, la legge coranica, vi sono norme liberticide che prevedono la condanna capitale per chi offende Allah e il suo Profeta.
Al contrario, nella nostra società europea secolarizzata, dove per la maggior parte delle persone l’idea di Dio è totalmente assente dal vissuto quotidiano (anzi, per costoro Dio proprio non esiste), la blasfemia appare come qualcosa di anacronistico, e ancor meno si accetta che possa esistere un reato di blasfemia, cioè che si possa essere condannati per aver offeso Dio e chi crede in Dio…
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